giovedì 31 dicembre 2009

........

Oggi sono molto triste.
Sono triste perché ieri pomeriggio sono andata a fare un giro nel centro storico della mia città con un amico, perché ho camminato, per raggiungere la Piazza, per corso Federico II, un corso buio come la mezzanotte ed ingabbiato come un uccellino, talmente deserto che i miei passi ed il clik della macchinetta digitale sembravano rumorosi boati, così deprivato delle sue moltissime attività commerciali e professionali da risultare un pietoso monumento a ciò che è stato, tanto ferito ed offeso da far pensare che non guarirà mai più.
Sono triste perché sento in televisione che qui va a gonfie vele, che, per la messa di Natale, la Basilica di Collemaggio è stata completamente restaurata, mentre il realtà è stata completamente puntellata, ed è ben diverso, che siamo tutti sistemati nelle C.A.S.E. e non è così, che L’Aquila torna a volare, mentre invece sta cercando di rialzarsi e fa fatica.
Sono triste perché mi rendo conto che chi non vive qui non potrà mai capire tutto questo e, se ci lamentiamo, ci bollerà come una massa di ingrati. Anzi già lo fa.
Sono triste perché molti visi non li rivedrò più, perché mi accorgo che siamo traumatizzati a vita, dal momento che, spesso, ci troviamo a parlare di quella notte e, ogni volta, affiorano alla memoria ed alle labbra, sempre maggiori e dettagliati particolari, che non dimenticheremo mai. Uno su tutti, il rumore precedente alla scossa, la voce della terra che non auguro a nessuno di sentire nella vita. Lo porteremo sempre nelle orecchie
Sono triste perché, anche se mi accadono cose belle, non riesco a gioire.
Ma la cosa che mi rende più triste è che quest’anno nero sta scivolando via ed io neanche spero che il prossimo sia migliore.

Buon anno a tutti voi.

giovedì 24 dicembre 2009

Buon Natale

Buon Natale a Valentina, Noemi, Nadia, Claudia, Fabrizia, Matteo, Davide, Daniela, Alessandra, Vincenzo, Riccardo, Sara, Lorenzo, Loris, Valbona, Dante, Annamaria, Simona, Suor Lucia, Claudio, Domenico, Maria Paola e a tutti gli altri che dal terremoto sono stati sconfitti.
Buon Natale ai loro familiari e parenti, sempre più curvi sotto il peso dell’assenza ingiusta e del destino che non perdona.
Buon Natale agli albergatori della costa che ci hanno ospitato e, chi più, chi meno, hanno cercato di rendere meno pesante la lontananza dalle nostre case.
Buon Natale ai ristoratori aquilani, a quelli che si sono prodigati in tutti i modi, ma soprattutto a quelli che in questi giorni chiudono strafottendosene degli sfollati che sono da loro e che non sanno dove andare a passare le feste. A loro uno splendido Natale.
Buon Natale a Massimo, che, pur tra mille errori, sta cercando di fare tutto quello che può per questa città.
Buon Natale a Biagio, che, se c’era lui, i cazzi, per noi, erano molto, ma molto più amari.
Buon Natale a Stefania, che, tutto sommato, non è male.
Buon Natale a Guido, che resta un altro po’, sperando che questa proroga sia un bene e non un male.
Buon Natale a Silvio, che sa usare bene, benissimo, i mezzi di comunicazione.
Buon Natale ai volontari della Protezione Civile, dell’Esercito, della Croce Rossa e di quella Bianca, di tutte le associazioni che ci hanno aiutati in ogni modo.
Buon Natale a coloro che, dalle pagine dei giornali online, dei blog, nei bar, negli uffici, nei negozi, non fanno altro che criticare l’operato di chi ha posti di responsabilità in questo caos totale, senza fare proposte alternative e che sono soprattutto aquilani.
Buon Natale ai commerciati, ai liberi professionisti, ai negozianti che, dopo aver perso le loro attività, si sono rimboccati le maniche ed hanno ricominciato da capo, da un’altra parte.
Buon Natale a medici ed infermieri, che hanno lavorato mille volte in più, tra mille difficoltà in più.
Buon Natale agli affittuari onesti, ed un Natale ancora migliore a quelli che hanno affittato appartamenti, ai propri concittadini senza più un tetto, agli stessi prezzi di un attico in Piazza di Spagna.
Buon Natale ai monumenti ingabbiati, scoperchiati, mutilati, inginocchiati, tramortiti, deturpati, esposti agli sguardi amorevoli di chi li ha sempre vissuti, ma anche, purtroppo, a quelli curiosi e viscidi dei “turisti della tragedia”.
Buon Natale alla mia casa che ancora ha la forza di reggersi in piedi.
Buon Natale ai miei amici lombardi, pugliesi, laziali, veneti, toscani che, pur da lontano, sanno starmi vicino e ai lettori del blog, che passano spesso a farmi un saluto.
Buon Natale ai miei amici di sempre, che vivono, come me, questa assurda situazione.
Buon Natale a tutti gli Aquilani, nelle C.A.S.E., nei M.A.P, nei camper, negli alberghi in città e nella costa, nei residence, nelle stanze delle caserme e della Guardia di Finanza, che hanno la forza, il coraggio e la voglia di continuare a vivere e a sperare.
Ma che il Natale migliore sia per i Vigili del Fuoco e non credo che ci sia bisogno che io ne spieghi i motivi.

mercoledì 23 dicembre 2009

Coniglio in città

Questa mia città ha su di me un effetto stranissimo e straniante.
E’ difficile da spiegare.
Da quando sono tornata, non ho fatto altro che girare in tondo intorno ad un centro che non c’è più, cercare luoghi stravolti, negozi, uffici e servizi che hanno aperto da un’altra parte, trovare piccoli segnali di una cittadinanza che non si arrende, ma che fa fatica a non farlo.
Tutti sono tenuti in piedi e trasportati dall’amore per L’Aquila, per quello che era e per quello che si vuole che torni ad essere.
Il Natale è anche qui, nonostante gli oltre 300 aquilani in meno, anzi, forse proprio in loro memoria, nelle sobrie luci dei centri commerciali, nei delicati addobbi per le strade percorribili, nei piccoli abeti decorati che si intravedono leggeri dietro le finestre di queste C.A.S.E. tutte uguali, ma ciascuna riempita di oggetti personali recuperati dalla vecchia vita, da quelle abitazioni piegate e sofferenti, con l’aiuto degli angeli in divisa, che spesso hanno rischiato tanto per vitali minuzie, cariche esclusivamente di valore affettivo, consegnate con gentilezza e sorrisi.
Sono io che guardo tutto con occhi e cuore diversi.
Proprio io, che ho amato questa città in maniera viscerale, che mi sono incazzata come una bestia rispondendo, in maniera a volte anche inurbana, a chiunque si è azzardato a parlarne male in mia presenza, che ne ho girato i vicoli in lungo e largo, che ho inspirato la sua aria fresca e pulita a pieni polmoni, che ho bevuto, dalle sue fontane, l’acqua più buona, che ne ho conosciuto ed apprezzato l’arte e la cultura, che ho preso il patentino di guida turistica e, spesso, ho portato in giro per il centro turisti ammirati dai mille monumenti e dalle storie e leggende ad essi legate (tante volte mi sono sentita dire: “Non pensavo che questa città fosse così bella”), che ho regalato ai miei amici lontani, prodotti tipici della mia terra, per fargli provare qualcosa di buono, ma buono per davvero, che mi sono sempre sentita “cittadina del mondo”, ma sempre, profondamente aquilana, pur avendo origini non aquilane, io, proprio io, coniglio in città, ora ho voglia di scappare via.

lunedì 7 dicembre 2009

Vorrei scrivere più spesso

Vorrei scrivere più spesso, perchè il blog mi aiuta ad alleggerire questa situazione a dir poco difficoltosa e a tirare fuori, a volte, quell'ironia che salva la vita.
Ma non c'è tempo, che passa vorticoso tra mille piccole e grandi incombenze, sospeso tra lo straniamento di trovarsi a metà tra due città. Anzi, tra tre, quella dove sono nata e sempre vissuta, prima che il tremendo tremito della terra mi costringesse a trovare rifugio altrove, quella che, per caso o destino, per tanti mesi mi ha ospitato e della quale ho iniziato a conoscere luoghi, colori, odori e persone e quella dove sono tornata, che è lei e, nello stesso tempo non lo è più, perchè è diversa e la confondo con il ricordo di come era prima.
E' tutto da imparare da capo, tutto da ritrovare.
Vorrei scrivere più spesso, e lo farò.
Per ora dico solo che non sono più un coniglio sulla costa, ma un coniglio ingabbiato in una delle abitazioni di uno dei quartieri del "Progetto C.A.S.E." che, tuttavia, non deve più sbattersi sull'autobus Pescara-L'Aquila all'alba, perchè può concedersi il lusso di rimaner soltanto intrappolato nel traffico diretto nella zona dove sono stati trasferiti cento uffici pubblici, tutti da scoprire e può, stasera, sedersi, purtroppo non nello storico teatro (che ha subito gravi danni), a vedere il primo spettacolo della stagione teatrale aquilana, organizzata in luoghi di fortuna, con più amore e tenacia degli altri anni, non solo con i suoi occhi, ma anche con quelli di tutti coloro che, presenti in platea e palchetti nelle precedenti stagioni, quest'anno, non potranno esserci e che non sono più con noi da otto lunghi ed ingiusti mesi.

venerdì 30 ottobre 2009

Bisogni primari

Ho fisicamente bisogno di dormire bene.
Quel sonno sereno, pacifico e disteso. Il sonno del giusto.
Non quello che ho ora, breve, smozzicato, dal quale vengo strappata da una sveglia impietosa, per poi riprenderlo appallottolata sul sedile dell’autobus, il giaccone come una copertina, la musica nelle orecchie a conciliare quello che non potrà che essere un dormiveglia cullato dal movimento del mezzo che mi porta nella mia città a metà.
Ho fisicamente bisogno di lavorare in sicurezza.
Di farlo senza quella paura sottile ed insidiosa che ti fa pensare che il luogo dove sei non sia poi privo di rischi e che ti fa stare in allerta come un gatto, stare seduta sulla punta della sedia e spalancare gli occhi e mancare un battito al minimo rumore o movimento.
Ho fisicamente bisogno di mangiare in tranquillità.
Non un panino ingurgitato in fretta, dopo una fila interminabile al centro commerciale per poterlo comprare, spesso da sola, seduta mollemente su una sedia del bar.
Ho fisicamente bisogno di una vita sociale.
Di incontrare gli amici, di andare al cinema, al teatro, in piscina, a scuola di ballo, a prendere un aperitivo o un caffè.
Anche di parlare di cose frivole, onestamente.
Ho fisicamente bisogno di abbracciarlo.
Di stringermi a lui, di vederlo sorridermi, di respirare sul suo petto, di sentirmi protetta e coccolata, di sapere che posso contare sul suo aiuto e sulla sua presenza, di sapere che non sono sola, ma siamo in due ad intrecciare le nostre esistenze e le nostre mani mentre camminiamo insieme.
Ho fisicamente, disperatamente, ostinatamente, cocciutamente, improrogabilmente, innegabilmente bisogno di essere felice.

venerdì 23 ottobre 2009

In punta di naso

Dopo cinque mesi di sede provvisoria, in una delle poche scuole che hanno resistito all’”onda anomala” del 6 aprile, avendo l’ente per cui lavoro (a tempo determinato, sia chiaro al mondo) tutte e sottolineo tutte, le sedi completamente inagibili, poiché, per la quasi totalità, palazzi storici in pieno centro, ci siamo trasferiti in un altro edificio.

Trattasi di una palazzina a due piani, trovata in extremis, dopo il vaglio di varie, discutibili alternative.
Proprio per questo motivo, ci sono ancora i lavori in corso, per cui, dopo il “viaggio della speranza” per arrivarci, oltre ad essere privi di riscaldamento e quindi lavoriamo bardati, con piumino, cappelli e sciarpe, come gli eschimesi, siamo allietati da un “Concerto per trapani e martelli, studio n°1” veramente gradevole.

C’è, poi, per gli amanti del brivido e del mistero, un arcano segreto che avvolge la palazzina (il cui colore, oltretutto, è di per sé inquietante)…. Non è la sua costruzione su un antico cimitero indiano, né l’aleggiare al suo interno o nei dintorni di sinistre e minacciose presenze, quanto, molto più prosaicamente, quale sia stata la sua classificazione di agibilità (le famose letterine A, B, C, D, E..) prima dei lavori di adeguamento sismico e se, dopo questi, possiamo veramente stare tranquilli
Nessuno sa, nessuno dice, nessuno si sbilancia.

Però stamattina, quando sono entrata, ho trovato gli ingegneri ed i geometri tutti intorno ad un pilastro portante, mentre uno di loro, arrampicato su una scaletta, dopo aver tolto uno dei pannelli di cartongesso del controsoffitto, controllava la situazione del pilastro medesimo con occhio critico.
Non si può mai stare tranquilli.

Risultato: per scrivere, sto pigiando i tasti con la punta del naso, perché le dita, più agili, veloci ed adatte allo scopo, sono cadute insieme alle mani e, dunque, alle braccia a cui erano attaccate.

martedì 20 ottobre 2009

Nuove professioni

“Muro del pianto forzato”, “consolatore degli pseudo-afflitti”, “spalla a cui appoggiarsi anche quando tutto va bene, ma dobbiamo ugualmente dire che va male perché sennò pare brutto”.
Queste sono tutte nuove professioni (tanto, da più parti, viene proclamato a gran voce che, di questi tempi, il lavoro ce lo dobbiamo inventare) che potrei inserire nel curriculum vitae, anche e soprattutto avendo maturato una discreta e pluriennale esperienza.
Sarà perché non amo parlare dei miei guai e quindi sono sempre l’allegra buontempona, sarà perché ho la faccia buona (e che il fatto mi procuri disagi l’ha intuito il mio stupendo parrucchiere, che, da tre mesi, sforbicia i miei capelli in tagli battaglieri, dando al mio viso quel tocco aggressivo che, a suo dire, non guasta, ma che, purtroppo, all’atto pratico, ancora non da il risultato sperato, cioè non consentire a chicchessia di lacrimarmi addosso, raccontandomi la sua tristissima, sfortunata esistenza), sarà perché dico pochissimi no, ma da sempre, chiunque, parenti, amici, conoscenti e, da non credere, a volte anche sconosciuti, si sente autorizzato a lamentarsi con me di tutto, dal lavoro, al tempo, dal governo (di ladri, buffoni, malandrini, truffatori… ma chi cazzo li ha votati???) ai trasporti, dalla sua vita privata, a quella privata (ma di cui sono a conoscenza) degli altri.
Per carità, va bene, sono a disposizione.
Però, francamente, c’è un limite a tutto.
In particolare dal 6 aprile.
Cazzo.
Un mio amico, che ha trovato lavoro sulla costa, per ora in prova, con buone probabilità di assunzione a tempo indeterminato (cioè, praticamente, è un miracolato) e che, a motivo di ciò, mette piede in città una tantum, per venire a vedere la situazione e recuperare qualcosa a casa, invece di baciare tutte le statue di Madonne e Cristi nelle quali si imbatte (ma fossi in lui, andrei a cercarle di persona in chiese, basiliche e santuari) e, calendario alla mano, ringraziare tutti i santi ivi menzionati, dal primo gennaio al 31 dicembre, attacca delle geremiadi infinite: che sta stressato, che si stanca, che il lavoro è bello ed i colleghi fantastici, ma lasciare tutto e ricominciare da capo è difficile, che non sa se se la sente, che comunque l’appartamento del Progetto C.A.S.E. (del quale ancora non ho avuto occasione di parlare) che potrebbero assegnare al suo nucleo familiare, probabilmente, ha una sola stanza e quindi lui, che dovrà affittare un monolocale nel pescarese dove, quasi sicuramente, dovrà restare, dovrà dormire su un divano-letto in soggiorno quando verrà a L’Aquila a trovare gli amici e i genitori, che sì, insomma, va bene il lavoro, meglio pagato del precedente, vanno bene i colleghi, tutti giovani, simpatici e deliziosamente disponibili, tuttavia la sua è pur sempre una grama vita.
Come la mia. Perché, nella sua visione, siamo accomunati dallo stesso iellato destino.
Se io gli obbietto che lui, insieme ad alcune categorie, quali gli affittuari aquilani con appartamenti agibili, le quattro pizzerie e gli altrettanti bar rimasti in piedi, gli imprenditori edili, è uno dei pochi ad aver migliorato la sua situazione economico-lavorativa, dopo il sisma, mi sento rispondere:
“E ci mancherebbe, dopo quello che MI è successo!”
Cosa gli sarà mai successo?
Su per giù quello che, su una popolazione di 80.000 abitanti (considerando i 49 comuni del “cratere”) è successo a circa 35.000: ha perso casa e lavoro.
L’ultimo, ci tengo a precisare, iniziato da poco meno di un mese prima del sisma, con contratto co.co.pro. di sei mesi.
Non per essere petulante, ma mi pare che il nuovo lavoro sia, e neanche di poco, migliore. Tra l’altro è a dieci minuti di macchina dal residence dove è sfollato.
Ora, come dicevo, io sono disponibile all’ascolto, al consiglio, alla consolazione.
Però ho fiducia, o avevo, che è più corretto, nella sensibilità delle persone che vengono a gemere e sospirare sulle mie spalle.
Perché dire a ME, che trascino fuori dal letto le mie già stanche membra alle cinque del mattino, faccio 20 km con la macchina, prendo un autobus che ci mette due ore ad arrivare in città e poi un altro, che ci mette un’ora per arrivare dove ci hanno scaraventato (più o meno a casa di Satana) e poi, dopo cinque ore in ufficio, fare il percorso inverso per tornare al residence dove sono sfollata, che LUI E’ STANCO, dire a ME, che sto lavorando in un ente pubblico part-time a tempo determinato dopo due concorsi (non colloqui, CONCORSI) con tanto di scritto e orale e che so con certezza che, alla scadenza, non verrà rinnovato, che LUI E’ PRECARIO, dire a ME, che non sono riuscita a prendere una nomina del provveditore per una supplenza annuale, pur andando, trepidante e speranzosa, a ben tre convocazioni, che LUI E’ STRESSATO, dire a ME che sicuramente dormirò per anni su un divano-letto, che, forse, LUI CI DORMIRA’ QUALCHE VOLTA, mi sembra, detto francamente, una mancanza di tatto bella e buona.
E lui non è neanche l'unico.

mercoledì 14 ottobre 2009

Un euro e cinquanta

Le mie giornate hanno, in questo periodo, un unico e fondamentale scopo ultimo.
Quello di trovare esattamente € 1,50 da mettere da parte per il giorno dopo. Né un centesimo di più, né uno di meno. Le combinazioni possono essere disparate:
tre pezzi da 50 centesimi,
due pezzi da 50 centesimi, più cinque da 10 centesimi,
due pezzi da 50 centesimi più due da 20 e uno da 10,
due pezzi da 50 centesimi più uno da 20 e tre da 10,
svariati pezzi da 20 e 10 mescolati in modo da raggiungere la cifra,
1 euro più due monete da 20 centesimi e una da 10,
1 euro più cinque monete da 10 centesimi,
1 euro più tre monete da 10 centesimi ed una da 20,
e poi lei, la regina di tutte le possibili combinazioni:
1 euro e una moneta da 50 centesimi.
E’ come avere in mano un sette e mezzo legittimo, secco, con due sole carte precise precise.
In questa affannosa, spasmodica, ma, a volte, fruttuosa ricerca, mi sono resa conto che non è tanto difficile reperire l’euro, quanto piuttosto i 50 centesimi, che si sono rivelati essere moneta assai meno diffusa di quanto pensassi. L’infame maledetta.

Da questa scoperta se ne deduce che le prime tre combinazioni sono molto rognose da ottenere e, tutto sommato, anche la combinazione madre a due monete.

Fatto che mi adombra non poco.

Va detto che io non cerco € 1,50 in quanto frenetica ed appassionata numismatica, ma perché mi servono per lo stramaledettissimo, nonché intimamente bastardo, parcometro del parcheggio della stazione, dove, praticamente all’alba, lascio la macchina per prendere l’autobus, direzione L’Aquila, che NON DA RESTO, in combutta con lo stronzo distributore di bevande calde e fredde che abbiamo in ufficio.

Indi, poiché io amo dormire e poltrire sotto le coperte ed in conseguenza di ciò mi alzo all’ultimo momento (ma pur sempre alle 5.30 del mattino), arrivando alla stazione quando l’autobus delle sei e mezzo è praticamente in moto, ho bisogno dell’euro e cinquanta in due monete come l’aria, altrimenti ci metto un’intera esistenza ad infilare le molteplici e svariate monetine delle altre combinazioni nella fessura del bastardissimo, attardandomi vieppiù ad attendere la stampa dell’avvenuto pagamento.

Lo so che potrei svegliarmi prima, c’ho anche provato, senza successo, perché già le cinque e mezzo è un orario che mi comporta uno sforzo titanico, ma se quella fetentissima colonnina di acciaio DESSE IL RESTO, come fanno altre, dimostrando che è cosa possibile, io dovrei inserire soltanto UNA MONETA DA DUE EURO, senza ulteriore perdita di tempo perché il resto arriverebbe insieme alla ricevuta, facendomi risparmiare preziosissimi secondi…

… che invece perdo, ricevendo in ambio, affanno e tachicardia per le corse che mi tocca fare per salire al volo sul primo scalino dell’autobus in partenza…

domenica 4 ottobre 2009

E la mia casa...

E la mia casa, dov’è?

Sì lo so che è lì, a cavallo di una scarpata, ancora aggrappata alla terra, in un punto nevralgico di quella che è stata definita “zona rossa”, inagibile, inabitabile, quasi inaccessibile, barcollante, pencolante, tentennante, con gli interni esposti agli sguardi, con le scale sbreccate, ricoperte di polvere, calcinacci, vetri, con le porte sfondate, fuori dai cardini, piegate su se stesse, eppure fiera, perché, a dispetto di quel sisma maligno, che, nella stessa via, a pochi metri, ha raso al suolo tre palazzine, spazzando via 14 vite, ha resistito a quella forza sfiancante dal basso, restando, sì, gravemente ferita, ma in piedi, per dare tempo e modo, a tutti i suoi abitanti, di cercare la salvezza in strada.

La mia casa quasi abbandonata, che, quando posso, vado a trovare, scortata dai Vigili del Fuoco, per recuperare qualche oggetto o anche solo per vedere come sta, come si fa con un amico molto malato, al quale vuoi bene, ma che fai fatica ad andare a visitare, perché ti ferisce il cuore vedere come è ridotto e vuoi ricordarlo nel pieno del suo splendore.

Quella casa che, sbattuta, sollevata, torta, per 22 interminabili secondi, ci ha protetto e tenuto in vita, si è fatta attraversate a grandi passi da noi inquilini straniati, spaventati, scarmigliati e, da allora, custodisce ciò che è nostro e che ancora non riusciamo a recuperare.

Quella casa nido e rifugio, che nel pericolo non ci ha tradito.

Casa di cui ancora non sappiamo la sorte di recupero o abbattimento.

Quella è la mia casa. Eppure, traditrice che sono, dopo tutti questi mesi, a volte, mi sembra di non sentirla più mia.

E non so se è una forma più o meno conscia di difesa.

mercoledì 23 settembre 2009

Bella giornata

Stamattina, davanti l’ingresso dell’”ufficio”, c’era una ruspa che smuoveva la terra e con essa il vialetto che era stato approntato un paio di mesi fa, per dare una parvenza meno “terremotata” all’ambiente.

Dentro l’”ufficio”, invece, continuano i lavori di messa in sicurezza dell’edificio che deve essere al più presto restituito ad uno degli Istituti Superiori della città, rimasto orfano della propria sede.
Ciò comporta, oltre a rumori che sfidano la solidità del muro del suono mescolati a canti popolari degli operai (che rivelano una netta predilezione per Gigi D’Alessio), l’impraticabilità dei bagni, i cui sanitari, ed il relativo pavimento, sono ricoperti da uno spessissimo strato di polvere di intonaco e utilizzati, pertanto, come magazzino improvvisato.

Nel caso di inevitabili bisogni fisiologici, occorre munirsi di catetere oppure arrivare al bar ed usufruire dei servizi igienici annessi. Tutti noi abbiamo optato per questa seconda soluzione, la quale presenta lo svantaggio della consumazione, la meno costosa possibile, ovviamente.
Quindi tazzina di caffè per ogni pipì di cui liberarsi.

Probabilmente mi verrà la gastrite.
O l’infarto.
O tutte e due le cose insieme.

Ma non posso trattenere la pipì per sei ore.

C’è da aggiungere che ho passato la maggior parte della mattinata a svolgere un lavoro che, prima o poi, si sarebbe dovuto fare: cercare sui siti internet nomi, date di nascita e, allegate nella maggior parte dei casi, foto delle vittime del sisma (308…308 ….308!!!!!!!!!!!!!!!!) per eliminare i nominativi dei bambini e dei giovani in età scolare dal data base dell’Osservatorio scolastico provinciale che stiamo curando.
Tanti. Troppi.
Straziante è un termine che non rende l’idea.

Bella giornata di merda….

martedì 22 settembre 2009

Par conditio

Ci sono, poi, stata ad Onna.
E’ vero, gli abitanti vivono nella case donate dalla Provincia di Trento, in collaborazione con la Croce Rossa, come recita un cartello lungo la strada.
Hanno anche il cibo in frigo e nella dispensa.
Non so se hanno ricevuto persino la torta e lo spumante che aveva promesso il Premier.
Meno male. Erano solo sinistre voci.
Per fortuna, si sono sbagliati.
Ah, allora c’è speranza!
Mi rassereno e mi avvio verso la macchina.

Poi però, ho la sfortuna di imbattermi in una mia vecchia conoscenza.
Che non è di Onna.
Ma di Castelnuovo. Un altro comune del cratere.
Un comune che sfugge ai più, perché, come di altri colpiti dal sisma, non se ne parla mai.

La mia vecchia conoscenza è inferocita, per non dire incazzata, perché è vero, sì, che ad Onna tutto procede, ma è altrettanto vero che nel suo paese, come in altri, ancora non hanno individuato i siti per mettere i moduli provvisori.

Una delegazione di persone, munita di striscione con sopra scritto qualcosa di simile a “Ci avete dimenticati”, è andata ad Onna nel giorno della consegna.
Delegazione piuttosto numerosa ed alterata, che, però, è sfuggita a tutte le telecamere, visto che non compare in nessuna ripresa.
Mah, tu guarda il caso…

Torno a dire che tanto si è fatto, soprattutto nella primissima emergenza, e ringrazio tutti coloro che, in qualunque modo ed a qualunque titolo ci hanno aiutato, però, ecco, adesso va detto quello che va, ma anche quello che non va!
Per la tanto decantata par conditio di cui tutti si riempiono la bocca.

E per onestà di informazione verso il resto dell’Italia, che crede che tutto va bene, anzi meglio di prima.

lunedì 21 settembre 2009

Sinistre voci

Domani vado a L’Aquila con la macchina. Ci vado perché, dopo il lavoro, voglio essere libera di girare senza essere legata ai vari autobus.
Ma soprattutto perché devo andare ad Onna.

Sì proprio lì, dove neanche una settimana fa c’è stata la consegna delle casette agli abitanti del paese, al grido di: “Tutti gli sfollati hanno un tetto sopra la testa!” e con il Premier che commentava: “Ma queste abitazioni sono dotate di tutti i comfort! Da qui la gente non vorrà più andar via!” (ma vaff…).
Sì sì, proprio lì dove, per l’evento, è stato scardinato il palinsesto di non so neanche più quante reti televisive, di modo che, in prima serata, si potesse dimostrare agli Italiani quanto sia efficiente ed efficace questo governo.

Perché ci vado?
Perché girano voci sinistre…
Dicunt, infatti, che la consegna delle casette, il 15 settembre, sia stato un enorme bluff, in quanto, in realtà, i moduli abitativi sono pronti, ma non sono ancora state predisposte la rete fognaria, quella elettrica e l’allaccio del gas. Indi, dopo la melensa cerimonia, con chiavi in mano agli Onnesi, panoramica delle dimore antisismiche, risposta affermativa del nuovo proprietario alla domanda del giornalista: “Quindi da questa notte lei dormirà qui con la sua famiglia?”, dopo aver messo l’accento sul significato simbolico di rinascita e speranza per gli altri comuni del cratere (ancora a “bocca asciutta”), una volta spenti i riflettori, nessuno ha preso possesso delle casette, ma tutti sono tornati dove “abitano” dal 6 aprile.

Ora, io queste voci le devo verificare con i miei occhi.
Perché, se anche può essere plausibile che la stampa e la televisione nazionale possano glissare su alcune precisazioni da fare in merito a quanto viene detto sul nostro dramma collettivo, quello che mi lascia davvero perplessa, è il silenzio assenso degli abitanti di Onna e dei giornalisti locali.

Spero, infatti, che siano soltanto voci.

sabato 19 settembre 2009

L'asta

Anche quest’anno ho partecipato all’asta delle supplenze indetta dal provveditore, quella, per intenderci, a cui partecipano tutti gli insegnanti non in ruolo, i precari.
In genere si svolge negli ultimi giorni di agosto, di modo che, il primo settembre, i vincitori possano prendere servizio nella scuola accaparrata dando il via a tutte le attività dell’anno scolastico ed ha luogo nell’aula magna dell’istituto superiore più grande della città.
C’è da aggiungere che le cattedre che arrivano all’asta sono i rimasugli dei residui di tutte quelle che, da luglio in poi, via via vengono messe a disposizione e vanno prima a chi (invidiato da tutti gli altri) entra in ruolo ed ha, pertanto, un contratto a tempo indeterminato e poi ai docenti in assegnazione provvisoria (cioè coloro che, in ruolo in qualunque altro posto, decidono, per un anno o più di uno, di spostarsi di scuola o di provincia), quindi è facile immaginare quali e quante ve ne arrivano.
Quest’anno, per cause di forza maggiore, ad esempio il sisma, tutto c’è stato un ritardo plateale, tanto che le nomine ci sono state ieri e l’altro ieri, ma soprattutto, vista l’inagibilità degli edifici scolastici, il rito dell’accalappia-cattedre, si è svolto dentro ad un tendone, luogo tutt’altro che inadatto, dato il circo a cui ha dato origine al suo interno.

Ci sono state scene che danno la misura di quanto i precari in generale, ma quelli della scuola in particolare, siano incazzati e disperati.
Personalmente, sono andata totalmente disincantata, dato che il mio posto in graduatoria non dava adito a nessun tipo di illusione, dal momento che il numero di cattedre rimaste non raggiungeva le due cifre. Però c’era chi ci sperava. Armato di stampe delle disponibilità e dell’elenco degli insegnanti, nonché della cartina stradale della provincia, si guardava intorno sperando ardentemente che chi lo precedeva, brillasse per la sua assenza e mal celando il proprio disappunto quando, al contrario, lo vedeva.

L’asta è stata preceduta da un preambolo degli impiegati del provveditorati, stanchi ed incazzati quando noi, ma comunque malvisti ed invisi perché possessori di un lavoro fisso, che annunciavano la presenza di aventi diritto alle agevolazioni della legge 104 e, cosa ancora più deprimente, la scomparsa, dall’elenco stampato di un altro paio di cattedre.

Dallo sconfortato uditorio partiva, ad ogni notizia, una peggiore dell’altra, un brusio pieno di doppie zeta, masticate tra i denti che lasciavano intuire la parola che maggiormente saliva alle labbra dei professori senza cattedra.

Va precisato che coloro che usufruiscono della legge 104 sono disabili o hanno un parente prossimo handicappato da assistere. Il vantaggio a risarcimento di tanta sfiga è il poter scegliere prima tra le disponibilità di cattedre.
Questo per dire che c’era gente che esecrava la sua malasorte che continuava a mantenere in perfetta salute lui ed i suoi cari.
Roba da non credere.

Con le mie stesse orecchie, ho sentito frasi tipo:
“Ma perché quella sta scegliendo ora? C’ha la 104? Ma che palle, un’altra!”
Ora si da il caso che io “quella” la conoscevo, visto che L’Aquila, tutto sommato, è una piccola città o un grande paese, che dir si voglia, e so che “quella” ha un figlio di due anni con un grave ritardo mentale e tutta una serie di problemi cardio-respiratori, causa di frequenti soggiorni in ospedale e bisognoso di assistenza continua.
Quanto avrei voluto chiedere alla stronza che ha pronunciato l’infelice enunciato se preferiva scegliere dopo o prima, ma vedere il suo bambino soffrire quotidianamente!

Vuoi vedere che, per colpa di tagli e taglietti al settore scolastico, che stanno falcidiando la categoria, stiamo diventando una massa di aridi infami, resi ancora più cinici ed egoisti da questo terremoto che, per una serie di motivi che non sto a spiegare, ha, quest’anno, ridotto all’osso le cattedre a nomina annuale?

O non è che già lo eravamo?

Mah….

lunedì 14 settembre 2009

Somiglianze...

E quindi domani sera su Rai Uno andrà in onda uno speciale di “Porta a porta”, condotto, per inciso, da un aquilano, che avrà come protagonista il Premier che consegnerà le chiavi delle casette ai terremotati. Si badi bene, il Premier, non i terremotati.
Detto così, cioè come dicono ai vari tg, sembra che da noi, grazie a questo governo, magistralmente capeggiato, tutto vada a meraviglia, tutti avremo un tetto sulla testa, torneremo in città e saremo felici e contenti. E fine del terremoto.

La situazione è leggermente più complessa.

Il Premier verrà, sì, a consegnare le casette, ma ad Onna e lì soltanto. Sono 47 villette che daranno ospitalità a 94 nuclei familiari e che sono state costruite dalla Regione Trentino in collaborazione con la Germania e che sono pronte da tempo.
Gli altri moduli abitativi, quelli del Progetto C.A.S.E., destinati agli Aquilani, sono ancora in costruzione, verranno consegnati seguendo una graduatoria su requisiti che ancora non sono messi nero su bianco e, conti della serva alla mano, non basteranno per tutti gli sfollati che hanno l’abitazione completamente inagibile.

Questo, però, non si dice.

Ora, io non contesto il lavoro fatto, perché è stato fatto davvero tanto. Mi disturba questa informazione che, più che falsata, è parziale, tesa a mettere in luce solo le cose positive ed il Premier nella sua splendida forma e che, nel caso di Onna (ripeto e sottolineo SOLO di Onna e non di L’Aquila o di altri comuni del cosiddetto “cratere sismico”), va soltanto a mettere la sua faccia, sorridente e tirata, sul lavoro ben fatto di altri. E lo mostra in tv alla nazione tutta.

Non è per fare confronti, però…. mi pare che… se non erro… ma potrei errare… anche la buonanima di Benito faceva lo stesso uso dei mezzi di comunicazione….

sabato 12 settembre 2009

Divino Othelma

Dal parrucchiere, dopo la piega, al momento di pagare.
Io, languida, quasi distesa sulla cassa, emula di Paolina Bonaparte:
“Senti, ma quand’è che vai in ferie?”
Lui, riflessivo:
“Dal 22 al 28 settembre.”
Io, marpiona provolona:
“Ah, come farò senza di te?”
Lui sorridente:
“Ma torno presto! Tanto ci rivediamo, vero? Mica torni subito a L’Aquila?”
Io, misteriosa:
“E chi può dirlo?”
Lui, preoccupato:
“Che ci vai a fare lì? E’ tutto un casino, stai qui!”
Io, bastarda nel midollo:
“Tu dammi un buon motivo per restare, e io resto!”
Lui, sibillino:
“Ce ne sono tanti di buoni motivi… C’è Pescara, c’è Francavilla… Ci siamo noi” (indicando se stesso)

Ora, posto il fatto che di Pescara e di Francavilla, pur ringraziando tutti di cuore per l’ospitalità, non me ne frega un beneamato, resta da definire questo “noi”.

Perché se lui parla di se stesso come il Divino Othelma, usando il plurale maiestatis, ecco, in quel caso, ci posso pure iniziare a pensare, all’ipotesi di rimanere….

Ti telefono o no

“Ti telefono o no, ti telefono o no, io non cedo per prima…”
Probabilmente la Nannini si riferiva ad un litigio tra due innamorati, ma se avesse ascoltato le telefonate tra me e degli usurai che si spacciavano per affittuari di case agibili a L’Aquila, l’avrebbe tranquillamente adattato.
Esempi?

-Pronto?
-Pronto. Cercavo una casa in affitto a L’Aquila, la mia è inagibile e non so se rientrerò della graduatoria del Progetto C.A.S.E.
-Sì, certo. Ne ho una di 70 mq, in una frazione a 20 km dalla città
-Va bene ed il prezzo?
-Sono 1200 euro al mese, spese escluse.
-QUANTO?? Mi scusi, forse non ci siamo capiti, io non cerco un attico a Piazza di Spagna…
-Quello è il prezzo. Arrivederci
CLIK.

-Pronto?
-Pronto. Cercavo un appartamento da affittare bla bla bla (vedi introduzione telefonata precedente)
-Ne ho solo uno, sono 16 euro al mq e 85 mq in totale
-(85 mq x 16 = 1360 euro al mese… ah, però!) Senta, non per essere puntigliosa, ma prima del 6 aprile, il mercato immobiliare della città affittava e vendeva per 10 euro al mq…
-Appunto, prima.
-Perché, dopo lei ha avuto il tempo di sostituire le piastrelle del pavimento con delle lastre d’oro, per giustificare questo aumento?
CLIK. Mancanza di ironia…

-Pronto?
-Pronto. (solito incipit…)
-Diciamo che ce ne sarebbe una, ma le anticipo subito che io stipulo solo contratti con la protezione civile.
-DAVVERO?
(n.d.a. : chi stipula contratti tramite Protezione Civile, affitta gli appartamenti che ha a disposizione seguendo un preciso prezzario che va da 400 euro a massimo 800, a seconda del numero dei membri del nucleo familiare e della grandezza dell’appartamento medesimo. Tale affitto è altresì pagato dalla Protezione Civile. Capirete bene che la notizia ha del commuovente, nonché del prodigioso, visto che soltanto il 5% degli affittuari ha messo a disposizione della P.C: le proprie case)
-Certo.
Poi, però, inizia a sfoggiare una certa cultura umanistica.
-Diciamo, più che altro, che si potrebbe trovare, inter nos, un accordo. La casa è stata costruita ex novo, con cognitio causae e seguendo le indicazioni antisismiche. Facciamo così: 600 euro li paga la Protezione Civile e 600 me li date voi brevi manu.
HAI CAPITO IL LATINISTA?
-Mi perdoni, lei mi lascia sine verbis, mi trovo costretta, neanche tanto obtorto collo, a non sottoscrivere il suo accordo, ma, piuttosto, a denunciare coram populo quanto da lei appena proposto…
CLIK. Paura, eh?

-Pronto?
-Pronto. Vorrei affittare un app..
-Tutti occupati.
CLIK

-Pronto?
-Pronto. Vorrei affittare un..
-Non ne ho più
CLIK

-Pronto?
-Pronto. Vorrei affitt..
-Già presi.
CLIK.

-Pronto?
-Pronto. Vorrei…
-Troppo tardi.
CLIK

-Pronto?
-Pronto…
-No
CLIK

Va a finire che uno si scoraggia.

lunedì 7 settembre 2009

Lunedì

Che noia, che tristezza, che madornale pallitudine mi circonda…
Oggi non lavoro, sono rimasta in esilio. Fa freddo, tira un vento che sembra di stare nell’antro di Eolo, il mare è agitato, non c’è nessuno, persino il setter che allevia la mia solitudine sta dormendo beato nella cuccia e svegliarlo mi pare proprio una crudeltà.
C’è solo una cosa che posso fare per dare un senso a questa giornata, l’unica cosa che riesce a strapparmi un sorriso.

Passerò con la macchina davanti al negozio del parrucchiere. Fortunatamente ha le vetrate sui due lati che fanno angolo sulla strada dove passo (ma anche sfortunatamente, visto che una volta mi ha beccato mentre lentamente mi appropinquavo a bordo della mia C3 e, con il collo a cigno, cercavo di sbirciare dentro. E’ spuntato di colpo da dietro un espositore di prodotti per capelli mandandomi un bacio in punta di dita e facendomi ampi saluti con la mano. Se avessi potuto, sarei evaporata… Che figura...) Mi piace lui, mi piace vederlo lavorare, anche solo quell’attimo che transito lì davanti.

E’ quasi incredibile come io abbia colto mille piccoli particolari. Quel suo passarsi le dita tra i capelli con un gesto rapido, prima di tornare a lavorare su un cliente, o quel modo di mettere la testa di lato, per studiare il taglio adatto ad ogni viso, o anche l’espressione che ha quando si sta concentrando, che stringe la bocca ed avvicina le sopracciglia, o come gesticola quando parla di sé e sembra quasi imbarazzato nel raccontare tutte le belle esperienze che ha fatto e che danno la misura di quanto sia bravo in quel che fa. Ma quello che preferisco è il suo sorriso, perché sembra quello di un bambino e, nello stesso istante in cui compare sulla sua bocca, gli fa quasi chiudere gli occhi, dimostrando che coinvolge tutto il viso e, perciò, viene direttamente dal cuore,
Mi fa bene vederlo sorridere così e, per fortuna, al contrario di me, in questo periodo, lui lo fa spesso.

Mentre salgo in macchina, pregusto già tutto questo.
Accendo il motore e l’autoradio su Radio DeeJay, faccio manovra, esco sul viale principale, giro a destra, imboccando la strada dov’è il negozio, inforco gli occhiali da sole (sono in incognito, che credete?), mi avvicino, inizio a cigneggiare con il collo e ………

CAZZO E’ LUNEDI’!
Ma porc……

venerdì 4 settembre 2009

Giochino

Da un paio di giorni nel nostro pseudo-ufficio, che in precedenza era l’aula magna di una scuola, e dove attualmente stiamo stipati in un numero tale da non consentire l’agevole passaggio delle persone e, per questo, mentre si lavorava si giocava contemporaneamente al Tetris umano (mettiti di là, che io mi metto di lì, in modo da non scontrarci con le sedie e, già che ci sei, sposta il tuo mouse più a destra, così io posso spostare la mia tastiera più a sinistra, se poi mi fai la cortesia di allungare le gambe di qua, consentendomi di allungare le mie di là…), da un paio di giorni, ha preso piede un nuovo gioco, per tenere allenata la mente e allegro l’umore.

Si chiama “Frega la sedia al collega”..
Sono state fatte sparire alcune sedie dalla stanza.
Scopo del gioco è accaparrarsene una di quelle rimaste per lavorare seduti. Ce ne sono di diversi tipi: le più ambite sono quelle morbide in pelle, seguono quelle ergonomiche con tanto di rotelle, poi quelle in legno, modello aula scolastica, ed infine quelle in plastica bianche, che fanno molto arredo da giardino.
Le tacite regole sono semplici ma ferree:
Non si possono portare sedie da fuori.
Si può prendere la sedia del collega dopo un’assenza di almeno cinque minuti (se il collega è in ferie, ti dice culo magno….).
Non si può prendere la sedia del collega che si è assentato per bisogni fisiologici.
E’ vietato tentare di far alzare chi è seduto con metodi subdoli, ad esempio passandogli vicino e dicendo: “Ti va di venire a prendere un caffè?”
E’ altresì, vietato ASSOLUTAMENTE, tentare di liberare le sedie gridando: “Tutti fuori, ho sentito una scossa!”

Devo dire che il gioco è abbastanza stimolante, per niente seccante, totalmente inserito nel contesto goliardico in cui ci troviamo.
Non sono ancora molto brava. Partivo con una sedia modello aula scolastica. Sono riuscita ad avere, per due giorni, una sedia morbida in pelle, grazie all’assenza per ferie della mia collega più prossima, per cui, diciamo, che determinante è stato, esclusivamente il fattore culo, e non l’abilità, mentre da tre mattine, riesco a parcheggiare il mio imponente B-side soltanto su tristi e traballanti sedie in plastica…
Mi devo allenare.

domenica 30 agosto 2009

Vorrei raccontare

Vorrei raccontare di come Celestino V istituì la Bolla del Perdono nel 1294 e di come, per l’epoca, fu un’enorme rivoluzione, perché faceva cadere la consolidata abitudine di pagare il clero per ottenere il perdono dai propri peccati, perché l’indulgenza si poteva ottenere semplicemente attraversando la Porta Santa della Basilica di Collemaggio a L’Aquila il 28 e il 29 agosto di ogni anno.

Vorrei raccontare che questi giorni sono importantissimi per la mia città, perché diventa la capitale del perdono, dal momento che possiede l’unica Porta Santa al di fuori di Roma.

Vorrei raccontare di come, anche quest’anno, nonostante il devastante sisma che l’ha colpita, la mia città si è preparata all’evento, magari con più mestizia, in ricordo di chi, il 6 aprile non ha visto giorno e non potrà più attraversare la Porta Santa.

Vorrei raccontare le emozioni dei partecipanti al Corteo, tra i quali c’ero anche io, nell’attraversare un centro storico che soltanto l’anno scorso era pieno di vita e di gente che applaudiva, mentre quest’anno non risuonava altro che dei nostri passi, perché è ancora puntellato e ferito e mette quasi paura.

Vorrei raccontare di come i Vigili del Fuoco, i nostri angeli da sei mesi, hanno, con palpabile commozione, scortato la salma di Celestino, da loro recuperata all’interno della Basilica, dove riposava.

Vorrei raccontare di come si è sentita forte e avvolgente la presenza degli Aquilani che si sono mossi sia dalle tendopoli che dalla costa per salutare il loro Santo e la loro Basilica e di come, proprio per questo, si è sentita in maniera altrettanto forte, l’assenza di chi ci ha lasciato quella notte.

Vorrei raccontare quanto è forte, dignitosa, piena di risorse la mia gente, che non è scappata via, che, dal forzato esilio, torna ogni giorno in città a lavorare, che sta facendo ripartire le attività economiche e commerciali per cercare di far tornare tutti alla normalità.

Vorrei raccontare tutto questo.

Invece mi ritrovo a dire che ci sono anche Aquilani approfittatori. Persone che, nel sisma, non hanno perso niente ed invece di andare incontro a concittadini che non hanno più nulla, vogliono guadagnarci su, con gli affitti, per esempio.

Perché io sono un coniglio sulla costa, che sta cercando di tornare lupo e che, ora, con la propria abitazione classificata E in zona rossa (tradotto per i non aquilani, casa completamente inagibile nella zona in cui non è permesso entrare, poiché pericolosa), non ha, in città, un solo misero appoggio per posare le stanche membra e sta cercando un appartamento dove andare ad abitare.

Ecco, questo coniglio ha visitato catapecchie fatiscenti da 900 euro al mese, ma soprattutto si è sentito proporre un affitto di 1400 euro al mese da una famiglia che ha casa classificata A (cioè che non ha subito danni ed è abitabile da subito) dove sta, per l’appunto, abitando, per un appartamento, il secondo di loro proprietà, sempre A, stupendo, per carità.

Il punto non sono i 1400 euro al mese (che sono comunque tanti per tutti, ma a maggior ragione per persone che avevano una casa di proprietà), quanto il fatto che il 5 aprile lo stesso appartamento era affittato a 800 euro.

Infatti.
Il punto è proprio questo.
800 euro il 5 aprile
1400 euro ora.

Alcuni Aquilani, provvisti non solo di prima casa agibile, ma anche di ulteriori da affittare, hanno la faccia di chiedere ad altri Aquilani, che hanno peso molto, quasi il doppio rispetto al periodo precedente al sisma.
Non è una cosa bella.

Ed io mi auguro, con tutto il cuore, che i soldi in più che gli rientrano, dovuti alle disgrazie ed alle perdite altrui, vengano tutti utilizzati per medicine.

Tutti.

lunedì 24 agosto 2009

Complimenti

Ti sei sciupata…”
Questo è il complimento più bello che mi hanno rivolto da un po’ di tempo a questa parte.
Attenzione, non “Ti sei dimagrita”, che implica un atto volitivo di miglioramento della propria persona e che sottintende, nella maggior parte dei casi, che ora stai meglio di prima.
No.
“Ti sei sciupata..”
Cioè, praticamente, stai perdendo peso, ma non in maniera sana e bella, quanto, piuttosto perché la vita di merda che fai in questo periodo ti porta ad un involontario cambiamento corporale che non è detto sia migliore del precedente.
Oltretutto, la faccia che accompagna queste parole è piuttosto eloquente…

Ah, che bello incontrare gente che non vedo da tempo….

Per lo meno

Per lo meno, alla riunione di condominio dell’altro giorno abbiamo concluso qualcosa.
Nominati:
· un amministratore esterno che riesca a far fronte ad una situazione a dir poco spinosa
· una squadra di tecnici che dovranno verificare i danni all’edificio e valutare la consistenza del terreno
Siamo riusciti a zittire l’acidula e fastidiosa vocina del rompipalle di professione, al grido di:
“AVVOCATO, è tutto GRATIS!”

Per lo meno, sono riuscita a tornare in tempo per vedere la puntata di “Buona la prima”, l’unica cosa in grado di consolarmi in queste giornate color marrone.

Per lo meno, le mie serate non saranno più funestate dallo stonatissimo cantante di piano bar che il direttore dell’albergo si ostinava a chiamare, pagandolo, tra l’altro, quando era chiaro al mondo che avrebbe svolto molto, molto meglio un qualunque altro lavoro che non implicasse l’uso della voce accompagnata da suoni.
Questo, non perché è stato chiamato un altro cantante, ma perché siamo stati spostati noi di albergo. Di nuovo.
E quindi abbiamo passato un F-A-.V-O-L-O-S-O week-end a riempire valige di nostre povere cose, caricare con le suddette valige la macchina, fare 100 metri, prendere possesso di un’altra stanza, scaricare le valige, svuotarle e sistemare le nostre povere cose in un contesto diverso.

Per lo meno, dove siamo ora, c’è un po’ più di spazio in cui mia mamma riesce a muoversi con maggiore libertà, visto che non esce, causa gravi problemi di deambulazione che la affliggono.

Per lo meno qui c’è un cane, un meraviglioso setter irlandese dal pelo fulvo, a cui i padroni, proprietari del residence, non possono stare dietro più di tanto e che, quindi, si annoia almeno quanto me, motivo per il quale abbiamo deciso di unire le nostre solitudini in mezz’orette di coccole e carezze.

Per lo meno c’è un terrazzo con una sdraio, dove la sera mi posso sedere, guardare il mare al tramonto e fare finta che tutto va bene.

giovedì 20 agosto 2009

Giornata no

Oggi è giornata no.
Cupa, tetra, scura nera.
Infilo uno dietro l’altro pensieri assurdi e per fortuna che nessuno è capace di leggere nella mente, altrimenti sarebbe davvero drammatico.
Ancora in “ufficio” dove la situazione è a limite del surreale, perché ci lavorano sulla testa producendo dei rumori e dei movimenti tali che ogni volta aprono un piccolo soffietto nel cuore, continuiamo a non ricevere i dati da inserire e di conseguenza, alternativamente, a litigarci il sudoku dell’usciere, andare a prendere un fetoso caffè alla macchinetta erogatrice di “bevande al gusto di” latte, cioccolato, tè, cappuccino, e, in conseguenza di ciò, per l’arci-noto binomio caffè-sigaretta, ad uscire fuori a fumare (per inciso, una delle categorie che ha beneficiato economicamente del periodo post- sisma è quella dei tabaccai).

Non ho nulla da fare e l’inattività, brutta bestia, mi da modo di formulare pensieri di una tetraggine infinita.
Che grande stronzata questo terremoto! Che vita è questa?
Ci sono caduti addosso problemi di cui si ignorava l’esistenza. Cerchiamo case in affitto nella nostra stessa città. Dobbiamo trovare posti in cui conservare i nostri mobili, posto il fatto che i danni all’edificio in cui abitavamo ci consentano il trasloco….. I nostri luoghi non ci sono più, o sono da un’altra parte e quindi la nostra città, ora, è un’altra e noi ne sembriamo turisti alla scoperta.

E poi le vittime.
Che aumentano esponenzialmente, ma questo nessuno lo dice.
Vecchietti sopravvissuti a quella notte che si lasciano morire perché hanno perso tutto, ne hanno viste troppe e non ce la fanno più a reagire.
Feriti, trasportati in ospedali vicini e lontani di cui non si hanno più notizie e quindi, chissà…

Ed io.
Che oggi mi chiedo perché sono qui.
Dicono che c’è un disegno preciso e che le cose non accadono per caso. Dicono.
Ma non so se sia poi davvero così.
O forse capirò tutto, davvero, soltanto quando verrà il mio momento ed ogni tessera di questo folle puzzle avrà preso il suo posto.

Non oggi.
Oggi penso che la morte ha colpito a caso e con cattiveria, prendendo con sé bambini che sarebbero potuti diventare splendidi adulti, distrutto famiglie intere lasciandone in vita un solo membro a portare sulle spalle tutto il dolore della perdita, una regista teatrale dalle idee fenomenali, medici dalle mani d’oro, studenti universitari che sarebbero diventati professionisti in grado di portare lustro alla nostra città, madri, padri, figli e figlie.

Ed ha lasciato qui me.
Che non so che fare di questa vita.
Che vorrei essere altro da un’altra parte.
Che non sono utile in questa emergenza.
Che non sono.

Ecco, oggi penso che questa vita del cazzo, magari, Dio poteva prenderla e lasciare la sua a qualcuno che ne avrebbe fatto un uso migliore del mio.

mercoledì 19 agosto 2009

Stesso giorno, più tardi

Per mantenere fede al mio proposito di lenta agonia autolesionista, dopo essere uscita dall’”ufficio”, ho percorso circa 1 km e mezzo a piedi sotto il sole nell’ora più calda (13.35) per raggiungere il Mc Donald e due amiche con le quali ho pranzato, abbattendo il fegato a colpi di Mc menù con contorno di patatine medie ed innaffiando il tutto con Coca-cola, per poi concludere con caffè e sigaretta.

Ahhhhhhhh!

Sull’autobus del ritorno.
Premesso che l’Arpa ha messo a disposizione degli sfollati che, avendo perso la casa, sono sulla costa e devono andare a lavorare a L’Aquila, degli abbonamenti gratuiti onde evitare di aumentare le spese a persone in evidente difficoltà, sono oggi incappata nel controllore pescarese spiritosone.

La ragazza davanti a me gli porge il biglietto.
Lui: “Ah, quindi lei paga! Lo sa che è un animale raro di questi tempi?”
(ahahahahahahahahahahahahahahahah, ma che simpatico)

Io gli porgo l’abbonamento gratuito (sia ben inteso, rilasciato solo per motivi di lavoro, dichiarando il datore ed un solo percorso di cui poter usufruire).
Lui: “Lei, invece, a scrocco come la quasi totalità dei passeggeri!”
(ahahahahaahahahahahahahahahaahah, ma perché non fa un provino per Zelig? Secondo me la prendono, sa?)

In conclusione, io voglio spegnermi in una lenta agonia, ma lei, signor controllore, desidera una morte violenta ed istantanea per mano di uno sfollato!

Angoscia

Prendo l’autobus delle sette e un quarto per venire da Pescara a L’Aquila. A quell’ora sono già al mio terzo caffè con conseguente terza sigaretta.
Quando arrivo in “ufficio”,alle nove e venti, il numero dei caffè è aumentato di una unità. Quello delle sigarette di due.
Sono candidata alla gastrite, all’ictus, all’invecchiamento precoce della pelle, al cancro.
O a tutte queste cose insieme.

Ma non è questo il motivo della mia angoscia. Figuriamoci.

Motivi della mia angoscia sono:
- il fatto che, quando entro in “ufficio” vengo a scoprire che, con un colpo di genio dell’ultimo momento, i colleghi hanno preso le ferie lasciandomi in mezzo al nulla, dal momento che coloro i quali dovevano mandarci i dati da inserire e che stiamo pregando, implorando senza dignità, da più o meno due mesi di inviarli, ovviamente non l’hanno fatto, pertanto il lavoro è bloccato ed io non ho niente da fare se non cercare di estorcere il giornalino del sudoku all’usciere
-la consapevolezza che questa mattina poteva essere impiegata in maniera più produttiva, ad esempio dormendo, viste le scure occhiaie, segno di poco riposo, che mi ritrovo sempre più profonde ogni giorno e che tento invano di mascherare con occhiali da sole e trucco da viados
-i mancati incontri con gli amici che hanno, per forza di cose, orari non conciliabili con i tuoi e la solitudine che da ciò deriva
-la mia casa che, di scossa in scossa, scivola verso il basso e non si può più passare dalle scale, quindi per togliere i mobili saranno cazzi molto, molto amari
-la precarietà di ogni sistemazione da qui a più o meno tre anni (a voler essere ottimisti) durante i quali non potrò dire di praticamente nulla: “Questo mi appartiene”
- le lacrime che a volte non riesco a trattenere, e Dio solo sa se lo vorrei, perché stringo le mani sperando di afferrare qualcosa ed invece restano desolatamente vuote
-la delusione nei confronti di una persona che, come tutti, del resto, quindi, fondamentalmente, di che mi sorprendo?, i primi tempi era tutta trepidazione e preoccupazione, mentre ora che gli ho chiesto un aiuto concreto, si è chiusa in un mutismo senza spiegazione.

Per dire.

martedì 18 agosto 2009

Attesa

Accendo una sigaretta.
La fumo.
Getto via il filtro.
Ne accendo un’altra.
La fumo.
Getto via il filtro.
Guardo questo cielo azzurro e queste gru d’acciaio che tengono in piedi quello che resta della mia città.
Guardo la mia gente avvilita, sconsolata, stanca, ma con ancora la voglia di lavorare, di ritrovare gli amici, di prendere un caffè per fare due chiacchiere.
Accendo una sigaretta.
La fumo.
Getto il filtro.
In questo modo inganno l’attesa, aspetto.
Aspetto qualcosa che già so che non arriverà.
E’ triste tutto questo. Ma io non ho neanche più la forza di sognare.
E la fantasia non viene più in mio soccorso.

lunedì 17 agosto 2009

Trasferta

Per staccare un attimo dalla situazione, abbiamo passato cinque giorni in Sardegna. A Iglesias, per precisare, non nella villa di Berlusconi che pure, nella sua immensa generosità, l’aveva offerta come alloggio per i terremotati.
Siamo andati per portare il nostro spettacolo, quindi diciamo che non è stata una vacanza vera e propria, ma una semi-vacanza.
Per staccare, appunto. Cosa che, però, non riesce mai. Un po’ perché, nonostante tutto, il pensiero va sempre alla nostra città ed alle difficoltà che stiamo vivendo, un po’ perché si andava in giro con un discretissimo pulmino bianco e rosso (i colori del gruppo), con un’aquila stampigliata sopra, il nome del gruppo e l’indirizzo.
La cosa faceva vagamente intuire la nostra provenienza e favoriva le domande canoniche. Anche sull’isola.

L’Aquilanità la porti ovunque.
Soprattutto in Sardegna dove la caratteristica linguistica è talmente accentuata che si scopre appena apri bocca che non sei del luogo. Da lì l’inevitabile: “Da dove vieni?” accompagnato da un sorriso che si spegne non appena arriva la risposta. “L’Aquila”.

La stranezza è, poi, che ormai L’Aquila, nell’immaginario collettivo, non ha quasi più una connotazione geografica. Non viene collocata in Abruzzo, ai piedi del Gran Sasso, ad un centinaio di chilometri da Roma.
No.
L’Aquila è diventata il luogo di un evento. Infatti, nove volte su dieci, l’affermazione successiva è: “Ah, dove c’è stato il terremoto…”
Sì, lì.
Proprio sotto il nostro culo.
Altra domanda surreale è: “Come stanno le vostre case?”, che lì per lì ti spiazza perché in genere ci si informa della salute di parenti ed amici, non di quella degli edifici.
La mia risposta: “La casa, E”, viene puntualmente scambiata per un sospiro, perché, di solito, si prosegue con: “Non ti preoccupare, dai, che piano piano si risolve tutto”.

A quel punto ci si rende conto che, dal 6 aprile, gli Aquilani parlano un linguaggio cifrato che non può, per ovvie ragioni, essere compreso dal resto dell’Italia. Ed è inutile precisare che quello non era un sospiro, ma la quinta lettera dell’alfabeto che, insieme alle prime 4 e alla sesta, serve ad indicare quali e quanti danni ha subito la tua casa.

Comunque ci siamo divertiti, perché la Sardegna è un posto bellissimo, con gente meravigliosa.
Con le dovute eccezioni, chiaramente, come ad esempio il gestore dell’albergo a 4 stelle (sottolineo quattro) dove ci hanno ospitato, che ha fatto di tutto per farci sentire a nostro agio, nel nostro ambiente.
Infatti ha, nell’ordine, svuotato tutti i mini-bar, tolto i telecomandi dei condizionatori delle stanze, spento l’ascensore.
Giuro.

Forse pensava che tutte queste comodità, dopo tanti mesi di disagi, ci avrebbero sopraffatto. Che caro..
Meravigliose sono state le sue giustificazioni:
Posto il fatto che dei mini-bar non è fregato niente a nessuno, alla legittima richiesta, il secondo giorno che eravamo lì, visto che faceva un caldo da stramazzare al suolo, del telecomando del condizionatore, ci siamo sentiti rispondere: “Si è rotto…”
In tutte le stanze???
“Sì…”
Ma che sfortunatissima coincidenza… Mi raccomando non si affretti a farli aggiustare…
Senta già che ci siamo… Come mai l’ascensore è spento?
“Siete in tanti.. Poi faceva troppe volte sopra e sotto..”
Chi cazzo sei? Un animista? Hai paura che si stanchi??

Non avevamo parole. Solo parolacce. Che gli abbiamo indirizzato a denti stretti al momento di andare via.

domenica 9 agosto 2009

Lento suicidio

Ho deciso di uccidermi.
Ma non così, tutt’insieme, con un colpo di pistola, per esempio, o infilando il mio collo in un cappio di corda penzolante da un lampadario, o ingerendo una massiccia dose di pilloline per dormire.
No. Ho deciso di uccidermi con una lunga, lenta, santificante agonia.

L’ho deciso, tra l’altro, in maniera assolutamente inconscia.
Mi sto uccidendo da mesi, da quattro per la precisione, senza averne la percezione.
Oggi ho avuto l’illuminazione.

Perché solo il desiderio di riposo eterno, dopo giorni da incubo, di sveglia alle sei, tragitto di 20 Km in macchina su strade frequentate, a quell’ora, soltanto da operatori ecologici e fanatici esaltati del footing (ai quali segherei volentieri le gambe, perché, potendo dormire, si ALZANO PER CORRERE), viaggio di un’ora e cinquanta (ripeto per maggior chiarezza: UN’ORA E CINQUANTA) in un autobus affollato tanto che, la maggior parte delle volte, ci si ritrova con un gomito altrui tra le proprie costole, camminate a piedi per raggiungere il proprio “posto di lavoro” (il virgolettato non è immotivato), lavoro che, inutile precisazione, è part-time a tempo determinato, per poi, dopo CINQUE-ORE-CINQUE, compiere a ritroso le stesse azioni, può portarmi a decidere, sciente e cosciente, nell’unico giorno in cui posso scendere in spiaggia, invece di spatasciarmi al sole senza muovere un muscolo, di fare un’ora di acqua gym con il sole a picco sulla testa.
Sì, dev’essere questo. Non trovo altra spiegazione.

Commenti inopportuni..

L’altra mattina l’autobus è arrivato puntuale.
La piccola folla di pendolari sfollati aquilani, al terminal di Pescara, era in lacrime per la commozione. Perché, purtroppo, per motivi a noi sconosciuti, spesso tarda più o meno un quarto d’ora. Niente di grave, per carità, se non fosse che siamo gente appesa alle coincidenze, non quelle del Caso o del Destino, ma a quelle dei mezzi di trasporto, indi 15 minuti sono davvero tanti.
C’è anche da dire che, fino a poco fa, nella nostra città gli autobus passavano in continuazione, causa sisma, e portavano praticamente ovunque. Ora no. Ai gestori dell’AMA (il nome così romantico è soltanto l’acronimo che designa l’azienda che gestisce i trasporti urbani) sembra che l’emergenza sia terminata.
Forse sono male informati. Forse non si sono accorti che non è proprio così.
Va bene che siamo conigli sulla costa, però la maggior parte di questi conigli ha la necessità di venire a lavorare a L’Aquila quotidianamente.
Non conosco la storia di tutti i roditori che hanno deciso di stare in albergo invece che in tenda, ma so bene qual è la mia. Con entrambi i genitori invalidi (perché quando uno è fortunato, lo è fino in fondo), non mi è sembrato il caso di farli stare nelle tendopoli, così ho chiesto un albergo, del quale non mi lamento, sia chiaro, e non lo farò mai, perché è gestito da gente deliziosa, che ti viene incontro per quanto può. Ho un lavoro part-time a tempo determinato, per il quale vengo a L’Aquila, perché non posso mollarlo e mettermi in vacanza non si sa fino a quando, a spese dello stato.
Non mi pesa viaggiare, lavorare, mangiare un panino ad un prezzo da gioielleria, tornare sulla costa soltanto per dormire.
Mi pesa, e mi fa anche girare un po’ le palle, trovare, ad articoli pubblicati sul sito www.ilcapoluogo.it , commenti di cotale tenore:


20 lug : 12:21Da: Matrix
Qui secondo me , no n si sta capendo un tubo!!Ci sono + di 30K aquilani sulla costa che in 3 mesi non hanno avvertito minimamente il sentimento di tornare a l'AQ, anche soltanto x vedere le reali condizioni delle proprie abitazioni.Questi sono aquilani che pensano che il Governo , li chiamerà e gli comunicherà: potete tornare a l'AQ , xchè oltre ad avere stanziato i fondi x la sistemsazione delle vostre abitazioni, abbiamo anche finito i relativi lavori di sistemazione.A gente, sveglia, a Settembre se nessuno di questi 30K ZINGARI , che si stanno grattando le balls sotto il sole, NESSUNO ESCLUSO, avrà il minimo buon senso di rimboccarsi le maniche, ci saranno 50K xsone senza tetto ed il progetto C.A.S.E.sarà soltanto un lucina in fondo al tunnel.PS!!XSONALENTE, provo una grande pena x questa gente talmente stupida e sfaticata, che se dipendesse da me li lascerei a vita sotto i ponti......PAROLE dui un 30enne , quilano doc.Santeeeeeee



Ora, tralasciando la totale ignoranza di grammatica, sintassi, ortografia e lessico, per cui un trentenne suonato, fatto e finito, che, però non ha il coraggio di mettere nero su bianco nome e cognome, in modo tale che i 30K di aquilani, NESSUNO ESCLUSO, che si grattano le balls sotto il sole, come dice lui, lo possano rintracciare e fargli vedere di persona QUANTO e COME se le stanno grattando, scrive come il membro più giovane delle Tim Tribù, quello che mi viene da pensare è: “Meno male che c’è una mente così illuminata che può spiegarmi tutto. Grazie, mio Dio, per averlo messo sulla mia strada”.
Ora, per carità, di sicuro c’è qualche coniglio che si sta beatamente facendo le vacanza a spese statali, ma da qui a scrivere (male, oltretutto e criptato… che cazzo vuol dire 30K??? Ah, già, me lo spiega lo stesso genio che lo ha scritto, qualche commento più in là, K vuol dire migliaia, è un simbolo che si usa in finanza, siamo noi una massa di ignoranti nullafacenti che non leggiamo “Il sole 24 ore” in quanto impegnatissimi a grattarci le balls) questa serie di stratosferiche e clamorose stronzate, ci passa!
Mi chiedevo, in effetti, mentre mi grattavo a due mani, lui cosa mai facesse. Di sicuro qualcosa di grandioso, visto il suo QI senza pari. La stessa domanda è stata formulata, in un altro commento, da un certo Niky, il quale faceva notare, con modi molto signorili, tra l’altro, perché la mia reazione sarebbe sfociata in un vituperio da arresto, che lui, in realtà, non si stava grattando proprio nulla, perché lavora tutti i giorni a L’Aquila ed è in costa per tutelare i suoi figli, che sono molto piccoli.
Ecco la risposta:


20 lug : 19:22 Da: Matrix
Carissimo Mr.Niky,IO ( ma x sfiga, xrò xchè vivo a Roma, solitamante )il 6-04 alle 3:32, ero immerso nel + profondo dei sogni , quando il letto mi ha gettato quasi x terra, ergo, anche IO son stato terremotato come te, solo che probabilmente i miei si son fatti il kulo x farsi una casa con i controcazzi , a cui il terremoto ha fatto il solletico ( 4 piani di palazzina ).X i tuoi figli mi spiace un casino ma non vedo IO che colpe ne posso avere o bla..bla..bla..!!X il resto ognuno di noi ha delle priorità e la mia non è la famiglia, ma la carriera, quindi non avendo xsone a carico, non ho necessità di fare su e giù.....ma poi che c'entra tutto ciò??IO ho soltanto detto che il comportamento di moltissimi Aquilani, è esecrabile, xchè gente che non ha mai fatto un Kazzo in vita sua , ora pretende una casa con giardino, garage e magari anche un collegamento WI-FI e chissà cos'altro.Te saluto


Da ciò si evince quanto segue:
Il termine “terremotato” va applicato non solo a chi ha perso casa e affetti ed ora sta cercando con fatica di venir fuori da questa situazione, ma a chiunque abbia sentito la scossa. ERGO è terremotata tutta l’Italia centrale da Ancona a Napoli. E continuano a chiamarlo “Terremoto d’Abruzzo”!
Chi ha la casa inagibile o crollata è un povero deficiente che non ha avuto i genitori che si sono fatti il kulo per farsi una casa con i controcazzi a cui il terremoto ha fatto il solletico, quindi ora si attacca perché non tutti possono essere freghi come lui.
Lo stato della propria abitazione dopo il sisma non dipende da tutta una serie di fattori come, per esempio, il tipo di terreno, la dimensione e la posizione delle faglie, la collocazione dell’edificio, l’uso dei materiali utilizzati, ma da quanto kulo ci si è fatti per costruirla. Anzi, a ben guardare, da quanto kulo si sono fatti i genitori.
Gli sfollati nullafacenti vogliono la casa con il giardino, il garage e il collegamento WI-FI, altrimenti niente da fare, restano dove sono.
Il proprio ego si afferma scrivendo sempre e comunque IO, invece di io
L’uso del K in sostituzione della C nei termini che stanno ad indicare parti del corpo, è indicato qualora le parti stesse siano utilizzate in senso metaforico e non letterale.
Il bla bla bla denota un’ampia gamma di argomentazioni da addurre a sostegno della propria tesi, che vengono sottointese perché si sa, a buon intenditor poche parole.

Non conosco il Sig. Matrix, però penso che commenti così lapidari, senza conoscere le situazioni, non vadano fatti perché, in tutta franchezza, vanno ad urtare la sensibilità di più o meno 20k su 30k di aquilani, che tutto stanno facendo, tranne una vacanza alla faccia degli altri cittadini.
O almeno mi auguro che sia così.

sabato 8 agosto 2009

Riunione di condominio

Ho udito cose che voi umani….

E’ vero, la riunione di condomino è una delle attività più pallose a cui un essere umano può prendere parte, ma partecipare alla riunione di condominio per la ricostruzione post-sismica, è qualcosa di non immaginabile, se non la si è vissuta di persona.

A parte il fatto che non abbiamo più un luogo per incontrarci, quindi ieri c’erano le 16 famiglie del mio palazzo sedute ai tavolini all’aperto di un locale, ma questo era il disagio minimo.
Mi sono accorta, dal tono dei discorsi, che diverse persone, ed alcune in maniera eclatante, non si sono rese conto di quello che è successo.
Sono arrivata con qualche minuto di ritardo e le mie orecchie hanno sentito argomenti tali che, se avessero potuto, si sarebbero staccate dalla testa per scappare il più lontano possibile.
La signora del piano terra, che non ha, palesamente, il QI della Montalcini, poneva a quella del secondo piano (ATTENZIONE ATTENZIONE) il seguente quesito:

-Senta, ma noi a gennaio abbiamo pagato la quota condominiale di tutto il 2009; visto che da aprile non abitiamo più lì, non è che si potrebbe scalcolare ed avere indietro il resto dell’annualità?

Ho fatto un rapido calcolo: STIAMO PARLANDO DI 55 EURO!
Abbiamo la casa pericolante, probabilmente su un terreno di risulta, di conseguenza c’è la possibilità che venga abbattuta e non più ricostruita sullo stesso sito, quindi, oltre a tutta una serie di enormi difficoltà da superare, ad esempio un trasloco, per dire, c’è praticamente da gridare al miracolo e andare a piedi nudi fino a Santiago de Compostela per il fatto che quella notte ha retto e ci ha permesso di uscire illesi, E LA SIGNORA VUOLE INDIETRO 55 EURO????!!!!!!!
MA GLIELI DO IO, PURCHE’ TACCIA!

E questo è stato solo l’inizio. C’erano da discutere dei punti all’ordine del giorno, nero su bianco sulla convocazione, piuttosto, come dire… pregnanti, come ad esempio la nomina di un amministratore esterno, dei tecnici per il rilievo strutturale e geologico, robetta così, insomma..
E’ stato a quel punto che l’Avvocato del terzo piano, già tignoso, limitato e rompiballe prima del sisma, ci ha dimostrato che non c’è mai limite al peggio.

Perché, di fronte alla proposta di un esterno che avrebbe amministrato il condominio, prendendosi, sì, un compenso (irrisorio, poiché diviso tra tutti), ma assumendosi al contempo tutti gli oneri non indifferenti che sottendono alla drammatica situazione (e che non sto qui ad elencare, dal momento che sono tanti e tali che al solo pensiero, scendono calde lacrime di fatica e sopraffazione), la sua domanda è stata: “Ma lo dobbiamo pagare noi?”
AVVOCATO, chi altri, sennò?

Ma l’apoteosi della pochezza umana di quest’uomo c’è stata al momento della scelta della squadra di tecnici che dovrebbero verificare lo stato del sottosuolo su cui poggia l’edificio in cui abitavamo ed i danni strutturali che ha subito, per vedere il da farsi, di nuovo la sua vocina stridula si è levata sopra le altre:
-Sì va bene, ma tutte queste spese chi le paga?
AVVOCATO, queste spese rientrano nella ricostruzione, saranno rimborsate al 100% dallo stato!
-E chi lo dice?
AVVOCATO, il Decreto Abruzzo
-No, no questo lo dice lei!
AVVOCATO, lo dico io dopo aver letto il Decreto, cosa che a quanto pare lei non ha fatto!
-Secondo lei ho tempo per stare a leggere tutte queste carte?
AVVOCATO, lei non esercita la professione da tempo immemorabile, ha oltre 80 anni, COSA CAZZO HA DA FARE TUTTO IL GIORNO, TUTTI I GIORNI, PER NON AVERE TEMPO DI LEGGERE UN DECRETO CHE, TRA L’ALTRO, LA RIGUARDA PIUTTOSTO DA VICINO, MI PARE?!
Ma poi, scusi, vuole risparmiare sulla sicurezza della sua casa quando nella nostra strada, a pochi metri, ci sono stati del palazzi crollati, con 14 morti seppelliti dalle macerie? Le pare luogo e tempo di fare braccino corto, su cifre che, oltretutto, non caccerà lei?
-Senta, i morti ci sono stati al numero 21, noi siamo al numero 3!
AVVOCATO, sono tramortita dalla sua sensibilità……….
-Inoltre, il mio appartamento non ha subito danni. E’ intatto.
AVVOCATO, allora può staccarlo dal resto dell’edificio e andarsene affanculo con esso, francamente e con tutto il rispetto.

Ecco, questo è stato il tenore della riunione, escluse le scurrilità, che ho solo pensato e con me tutti gli altri condomini (ci metto la mano sul fuoco), ma non ho detto (e neanche loro) per una forma di buon gusto e buon senso innata.
In realtà, se fossimo stati meno urbani, a turno, lo avremmo preso a pesanti, sonori e ripetuti calci nel culo. Più democraticamente lo abbiamo messo in minoranza (lui e la signora che voleva indietro i 55 euro, che, avendo lo stesso stretto e morboso legame con il vil denaro, vanno molto d’accordo).

Tuttavia, dopo tre ore e mezzo (ripeto, TRE ORE E MEZZO) di riunione, pensate voi che siamo riusciti ad approdare a qualcosa?

Domanda retorica con risposta negativa: no, non abbiamo risolto un emerito e beneamato.
In compenso ci vediamo il 21, stessa ora, stesso posto e, purtroppo, stessi rompiballe.

Vivo nell’attesa.

giovedì 6 agosto 2009

Rotture

Ieri mattina si è rotto l’autobus dell’Arpa (autolinee regionali pubbliche abruzzesi), quello che dalla costa ci porta a lavorare a L’Aquila. Neanche tanto a sorpresa per la verità. Perché già durante il viaggio si erano manifestati, dal retro del pullman, sinistri presagi sotto forma di fumo grigio che ha, via via, assunto tonalità sempre più cupe fino a raggiungere la nuance nera….
Insomma, siamo rimasti bloccati all’altezza di San Gregorio (il paese, non il santo), con magno e manifesto disappunto di tutti noi, visto che, rarità assoluta, stavamo per arrivare puntuali al Terminal, giusto in tempo per prendere le varie coincidenze con gli autobus metropolitani, che ci avrebbero distribuito nei provvisori (nel mio caso in tutti i sensi) e sbattutissimi posti di lavoro.
E così ci siamo ritrovati come pecore a pascolare lungo la statale, accendendo sigarette in comitiva (tanto per… prima del 6 aprila alle 3.32 io avevo, con fatica, smesso di fumare, ora sarei capace di uccidere per due miseri sporchi tiri, anche vicini al filtro.. spero di aver reso l’idea), masticando bestemmie e maledicendo l’avversa sorte che, francamente, si sta accanendo con una veemenza a dir poco ingiustificata.
Bon.
Dopo la vana speranza accesa dall’autista al grido di: “Salite, salite, abbiamo risolto!”, stroncata due minuti dopo dallo stesso, con un repentino: “No, no scendete!”, è venuto in nostro soccorso un altro mezzo che ci ha caricato e portato nei luoghi deputati al travaglio (in senso letterale, figurato e metaforico) con l’impercettibile ritardo di UN’ORA.

Se vi dico quello che è successo oggi non ci credete. Ma giuro che è vero.
Il mezzo Arpa ci ha portato al terminal senza inconvenienti e lì, tra i tanti autobus AMA (Azienda Municipalizzata Aquilana) che potevano avere problemi, indovinate un po’ qual era quello sotto le mani di un solerte ed affaccendatissimo meccanico?
Il numero 80. QUELLO CHE DOVEVO PRENDERE IO.
Mi è venuto da piangere, sinceramente. Non l’ho fatto per mantenere una parvenza di dignità.

In tutto ciò, mi viene comunque da pensare che, per lo meno, gli autobus si rompono a turni e/o a giorni alterni.
Io mi rompo tutti i santi giorni che Dio manda in terra, dal 6 aprile a questa parte, e con me svariate decine di migliaia i conigli sulla coste e lupi nelle tende, cani nelle cucce e gatti al guinzaglio. Tutti aquilani, però, e tutti in difficoltà.

Non lo auguro neanche al mio peggior nemico, che, peraltro, non ho.

giovedì 30 luglio 2009

Avviso

“Gli alunni della classe XY che hanno foto recenti di I.R. sono pregati di mettersi in contatto con i suoi genitori i quali, avendo perso tutto a causa del sisma del 6 aprile, non hanno un’immagine della figlia da mettere sulla lapide.”

Questo avviso era affisso sulla porta della provvisoria segreteria di una scuola superiore della mia città, dove sono andata per chiedere informazioni per lavoro.

E mi è arrivato come uno schiaffo in pieno viso, violento ed improvviso.

Perché riporta alla mente, anche se ci si è distratti un attimo, tutto ciò che è stato. Talmente spaventoso, terribile e devastante, che ci saranno persone che avranno un volto soltanto nella memoria di chi li ricorderà

mercoledì 29 luglio 2009

Figura di ca... parte seconda

Il senno mi sta abbandonando.
Va bene che la situazione è quella che è e che dal sisma abbiamo cominciato un po’ tutti ad apprezzare quello che abbiamo e a non farci scappare le occasioni da sotto il naso, visto che bastano 22 secondi per perdere tutto, ma io mi devo dare una regolata.
Per esempio, la devo smettere di tagliarmi i capelli.
Primo perché prima o poi finiscono e rimango calva.
Secondo perché economicamente mi sto dilapidando.
Terzo perché così evito di inanellare figure di cazzo con il parrucchiere.

Dialogo di ieri:
-Ciao, passavo di qui per caso (bugiarda bugiardissima) e volevo sapere se venerdì posso venire a fare la piega-
-Ciao, mi puoi aspettare un attimo? Finisco qui e arrivo, così prendiamo appuntamento e lo segno sull’agenda.-
-Certo. Resto volentieri che approfitto dell’aria condizionata (io, rana dalla bocca larga ….)
- Va bene, puoi restare quanto vuoi, per me fino a domani – mi fa, accompagnando il tutto con sorriso più occhiolino.
(attento, che a volte prendo alla lettera …)
-Grazie-
-Prego. A proposito, è piaciuto il tuo nuovo taglio? Adesso ho la tua piena fiducia?
(ovvio. Piena ed incondizionata. Sposiamoci.)
-Sì sì, è piaciuto molto! Certo che hai la mia fiducia. Anzi, ormai sei il parrucchiere della mia vita (sono un’idiota, abbattetemi.). Anche quando tornerò a L’Aquila definitivamente, poi verrò a fare i capelli da te. -
Zac, sorriso smagliante con tanto di diamantino tattico applicatomi dal dentista…
-Ma che ci torni a fare a L’Aquila, dai, resta qui, con me!
EHHHHHHHHHHHHHH???????
Non me lo dire due volte, che stasera mi trovi con le valige sotto casa tua!

Sono uscita un po’ stupita dal negozio, francamente.
Però riflettendoci bene, credo di essere per lui una specie di cavia su cui sperimenta le novità.
Va bene, mi accontento. Da cosa nasce cosa.
Eppure lui è quanto di più lontano ci possa essere dai tipi che solitamente attirano la mia attenzione.
Mah---

Amuchina

Ho sviluppato una quantomeno insana dipendenza dall’Amuchina in gel.

Trattasi di un nuovo, insidiosissimo, prodotto da tenere in borsa che consente di disinfettare le mani senza l’uso del sapone, come una crema.
L’altro giorno l’ho trovata in offerta in un supermercato e, da massaia accorta quale dono diventata, ne ho comprate 4 boccette.

La dipendenza, ormai in stato avanzato, potrebbe derivare dal fatto che faccio avanti e indietro con l’autobus, giro x la città senza avere l’appoggio di una casa, di un bagno degno di questo nome, di un luogo dove fare le abluzioni necessarie dopo ore e ore passate all’aperto toccando di tutto (fuori da ogni malizia!).
Tuttavia ho il sospetto che un altro motivo sia il potere della pubblicità che me lo ha fatto conoscere.

Questa la fabula: una tizia cammina per strada, accarezza un cane, sale su un tram dove, per tutto il viaggio, è in piedi e si regge agli appositi sostegni lerci, preleva al bancomat digitando il codice su luridi tasti, maneggia i soldi, compra, tasta, smanaccia ovunque.
Poi si avvia verso i tavolini di un bar, ma prima di avvicinarsi, tira fuori dalla borsa la boccetta fatata, se ne versa due gocce sulle mani et voilà….. un secondo dopo appoggia le mani sugli occhi di un bono da urlo seduto ad uno dei suddetti tavolini e voltato di spalle, il quale, invece di spezzargli tutte le falangi perché, prima di fare questo gesto, chissà cosa hanno toccato, la prende tra le braccia e la bacia.

Ecco, diciamo che il bono da urlo ha avuto un discreto peso sulla mia dipendenza da codesto prodotto da banco.
Ma, lo ammetto, sono troppo sensibile alla bellezza.
Sono un’esteta, rincoglionita totale, ma esteta.

Figura di ca... parte prima

Mettiamo il caso che io trovi affascinante una persona, mettiamo il caso che tale persona sia il parrucchiere che io, coniglio sulla costa, ho trovato nella pseudo villeggiatura forzata, posso, forse, evitare una qualsivoglia figuraccia? No.
Appunto.
L’altro giorno vado per sistemare il taglio.
-Ciao-
-Ciao. Allora, ti accorcio i capelli come l’ultima volta?-
- Sì, grazie-
Pausa. Sguardo di lui sul mio viso, di fronte, profilo destro, profilo sinistro, di nuovo di fronte.
Imbarazzo mio. Silenzio suo. Cinque minuti di studio della mia fisionomia, poi:
-Anzi, no. Io ti farei tutto un taglio corto, spettinato, con le punte in disordine, un po’ più lungo dietro, con dei ciuffetti sulla fronte-
-???-
-Guarda che è un bel taglio. Lo sto studiando sul tuo viso! Ti fidi di me? Ogni volta che vieni, ti trasformo!-
Io, seduta sotto il suo sguardo, occhio ebete, labbra socchiuse, apro la bocca e…
-Tu puoi farmi tutto quello che vuoi!-
………. Terra inghiottimi!

Vantaggi??!!

28 luglio
Nell’ufficio dove siamo ammassati da maggio stanno facendo dei lavori di adeguamento sismico, al termine dei quali (la cosa è davvero esilarante) verremo spostati in conteiner, mentre l’edificio verrà destinato ad altro uso, credo scolastico. La cosa comporta alcuni fastidiosi disagi, come ad esempio il fatto che hanno staccato i collegamenti e siamo senza, elenco in ordine di importanza ed utilità, telefono, fax ed internet. O che le nostre orecchie sono costantemente esposte a rumori di trapani, martelli, picconi e ruspe, con conseguente caduta di tramezzi evocante sinistri ricordi del 6 aprile. L’indubbio vantaggio è però, quello di non sentire le scosse, dal momento che trema tutto costantemente.
………………………………………………..
……………………………………………….
………………………………………………
Riflettendo a mente lucida……….. Cazzo, ma non è un vantaggio!

Divisa a metà

Spesso dico che questa non è vita.

Parlo da coniglio sulla costa. Perché così ci chiamano.
E da coniglio sulla costa, ho sensazioni strane, a volte convulse, a volte dilatate. Non posso dire che mi manca la mia città, perché ci vado per lavoro. Mi mancano i luoghi della mia città, perché adesso lei non è più lei, ed io ancora non mi abituo a questo suo nuovo aspetto, dimesso, eppure pulsante e vivo anche da sotto le macerie che, a 4 mesi di distanza, sono ancora lì a ricordarci ciò che è accaduto, inutilmente, perché non potremo mai dimenticare.

Sono divisa a metà.
“Conigli sulla costa, lupi nelle tende”. Questo è lo slogan che circola ora, per distinguere chi non ha lasciato la città da chi, per i motivi più vari e personalissimi, è stato, nella maggior parte dei casi, costretto ad andare momentaneamente via.
Sono divisa a metà, perché dormo da coniglio e vivo da leone.

Sono divisa a metà perché, da coniglio, vado via verso sera da una città che ho sempre sentita mia, ma che ora non può ospitarmi per la notte, e da lupo, soffro in un luogo che non mi appartiene, ma che comunque si è aperto verso di me, verso di noi.

Sono divisa a metà, perché, come molti, ho perso tanto, tantissimo. La casa, gli oggetti, il mio quartiere, i vicini di casa che non ci sono più, le piccole e grandi abitudini, i luoghi di incontro, le attività avviate, i volti amici che non rivedrò, un piccolo intenso mondo che non si potrà ricostruire, dal momento che ciò che sarà in futuro non potrà mai tornare identico a ciò che era. Ma ho anche acquistato molto. Uomini e donne speciali che mi hanno dato tutto il loro appoggio, una forza di carattere che mi ha permesso, pur tra cedimenti momentanei, di non crollare definitivamente, una fame di vita che mi porta a non perdere occasioni e treni che non ripasseranno più, la consapevolezza che il destino mi ha fatto un regalo inaspettato, perché a pochi metri da casa mia, dalla quale sono uscita indenne, due palazzi si sono accartocciati su se stessi, inghiottendo 14 persone.

Sono divisa a metà, sono coniglio e lupo, lutto e gioia, disperazione e speranza, ma so che presto tornerò ad essere una sola, né coniglio, né leone, ma figlia d’aquila e dell’Aquila, dura d’esperienza e di corazza.