domenica 9 agosto 2009

Lento suicidio

Ho deciso di uccidermi.
Ma non così, tutt’insieme, con un colpo di pistola, per esempio, o infilando il mio collo in un cappio di corda penzolante da un lampadario, o ingerendo una massiccia dose di pilloline per dormire.
No. Ho deciso di uccidermi con una lunga, lenta, santificante agonia.

L’ho deciso, tra l’altro, in maniera assolutamente inconscia.
Mi sto uccidendo da mesi, da quattro per la precisione, senza averne la percezione.
Oggi ho avuto l’illuminazione.

Perché solo il desiderio di riposo eterno, dopo giorni da incubo, di sveglia alle sei, tragitto di 20 Km in macchina su strade frequentate, a quell’ora, soltanto da operatori ecologici e fanatici esaltati del footing (ai quali segherei volentieri le gambe, perché, potendo dormire, si ALZANO PER CORRERE), viaggio di un’ora e cinquanta (ripeto per maggior chiarezza: UN’ORA E CINQUANTA) in un autobus affollato tanto che, la maggior parte delle volte, ci si ritrova con un gomito altrui tra le proprie costole, camminate a piedi per raggiungere il proprio “posto di lavoro” (il virgolettato non è immotivato), lavoro che, inutile precisazione, è part-time a tempo determinato, per poi, dopo CINQUE-ORE-CINQUE, compiere a ritroso le stesse azioni, può portarmi a decidere, sciente e cosciente, nell’unico giorno in cui posso scendere in spiaggia, invece di spatasciarmi al sole senza muovere un muscolo, di fare un’ora di acqua gym con il sole a picco sulla testa.
Sì, dev’essere questo. Non trovo altra spiegazione.

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