domenica 4 aprile 2010

Alessandro, Alfredo e Matteo

C’era un momento, in quell’altra mia esistenza, l’altra, sì, quella dove i mattoni erano ancora ognuno al proprio posto e la mia città aveva oltre 308 persone in più a viverla e a respirarla, l’altra, non questa che mi sono dovuta inventare per non impazzire, in cui sfioravo la più alta poesia.
Ed era a teatro.
Ma non quando guardavo uno spettacolo.
No.
Accadeva quando, durante le lezioni di dizione e recitazione che frequentavo, ci lasciavano liberi, a contatto con il palco.
Io, allora, mi stendevo schiena a terra e braccia larghe sulle tavole di legno del palcoscenico e guardavo in su, i riflettori accesi. Poi chiudevo gli occhi e, dietro le palpebre, mi restava ancora per un po’ la luce che avevo fissato.
Adoravo quei momenti. Mi catapultavo in un mondo che sceglievo e creavo io, tutto per me.
Mi piaceva la scena vuota, perché poteva ancora essere tutto e niente. Mi estraniava dalla mia realtà, senza ancora crearmene una preconfezionata dal regista e/o dallo scenografo.
Era mia, mia soltanto.
Era fatta di odori e di sensazioni tattili, su quelle tavole lisce e compatte. Sentivo con tutto il corpo, con le braccia, con i palmi delle mani, con la schiena, con le gambe.
Era fatta di immaginazioni e sogni più veri del vero.
Era vita da mangiare.
Era vita che non trovavo più.
Finché non ho scoperto che c’è ancora la possibilità di riavere quelle sensazioni. Anche più forti.
E’ successo a Londra, qualche settimana fa, quando sono entrata dentro il “Globe”. Il teatro di Shakesperare sulla riva del Tamigi, ricostruito com’era in epoca vittoriana, rotondo, con il tetto di paglia, i palchetti in legno, così come le panche al loro interno e l’esterno dipinto di bianco, piccola chiazza di purezza nel caos contemporaneo che gli girava intorno senza sfiorarlo. Un piccolo Mondo a sé, intenso, intatto, preciso ed unico.
Al suo interno, mi si è spalancata l’anima. Ed ha permesso al Bello ed al Sublime di entrare.
E’ stato un istante così intenso, da non riuscire a descriverlo
Talmente lontano dalla paura che ho qui, dai pensieri pesanti, dall’incertezza del futuro, dalla precarietà delle giornate, dai pianti silenziosi per ciò che non è più, dalle macerie che invadono anche il mio cuore, dalle crepe e dai crolli che ho, non solo nella casa, ma anche nella mente, dal vuoto lasciato dagli amici che non hanno fatto in tempo a scappare quella notte, da non voler tornare indietro mai più.
Poi ho capito che lo stesso può accadere con le persone.
Alessandro e Alfredo due attori, due artisti, due persone meravigliose, che in questo lungo anno mi sono state vicino, si sono preoccupate per me, mi hanno consolato, ascoltato, accompagnato, coccolato, telefonato, scritto, abbracciato, fatto ridere, aiutato a non mollare, sono la mia “scena vuota”.
Ma Matteo, che non sa che esisto, che ha cantato, ha sorriso, ha ballato, ha saputo mettersi in gioco ha reso minuti di musica piccoli diamanti preziosi, ha battuto le mani agli altri, ha chiuso gli occhi, si è emozionato della sua stessa voce, ha asciugato lacrime di felicità di fronte alla notizia più bella della sua vita, Matteo è il mio “Globe”.

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