lunedì 18 gennaio 2010

Gioia effimera

Odio i lunedì.
Non riesco a svegliarmi presto, arzilla, pronta ed allegra, gridando: “BUONGIORNO MONDO!”, perché apro gli occhi incazzata, dal momento che non avrei voluto alzarmi dal letto così presto (anche se rispetto all’ora in cui mettevo la sveglia durante il mio “esilio costiero”, questo è quasi un risveglio da “Giovin Signore” di pariniana memoria, visto che guadagno due ore nette di sonno, pur se poco tranquillo, dato che, dal 6 aprile, non è che riesca proprio a dormire su due cuscini, se devo essere sincera).
C’è da dire che, tuttavia, stamattina, il mio notevole malumore mattutino si è stemperato con l’aiuto di un caffè macchiato al vetro, servito, insieme ad un simpatico sorriso, da un barista disponibile e cordiale, si è diradato con la scoperta che è ora possibile parcheggiare serenamente senza circumnavigare più e più volte l’edificio, perché i nostri “dirimpettai”, che erano tanti e nervosi, sono tornati nella sede che avevano prima del sisma e che è stata ristrutturata, lasciando a noi l’ampio parcheggio con vista sui monti innevati, ed è completamente svanito quando mi sono ricordata di timbrare immantinente.
Ah, che gioia!

Peccato che sia durata un attimo. Il tempo di rendermi conto che il Collega, simpatico quanto un colpo di badile sulla schiena e sorridente come Lurch, il maggiordomo della Famiglia Addams, era rientrato dalle ferie.
Proprio lui. Che gela l’ambiente in un attimo. Che risponde con grugniti irritati a qualunque mia domanda (visto che non sono una figa alta e bionda/mora, e che non mi rivolgo a lui miagolando), quando risponde, perché spesso non si degna. Che non parla mai, rendendo la stanza una bolla isolata ed insonorizzata. Che sospira e mugugna da solo ed ogni tanto ci rende partecipi di un suo pensiero, il quale, nella quasi totalità dei casi si compone di “Ah (sospiro) + povero + suo nome proprio + ehhhhhhhh (sospiro prolungato)!”. Che si fa beatamente i suoi cazzi al computer (e qui colgo l’occasione per salutare di nuovo big Renato). Che, se ha un quesito da porti, usa un tono quasi scocciato, perché è costretto a rivolgerti la parola. Che non ama il lavoro che sta facendo e quindi, fondamentalmente, non lo fa (e potrei pure dire chissenefrega, se non fosse che svolgiamo le stesse mansioni e quindi, se lui non le fa…).

Ecco, meno male che ho imparato a godere l’istante, perché la gioia è veramente effimera.

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