venerdì 28 maggio 2010

Che C.A.S. vuoi?

Non ho parlato mai, fino ad ora, delle varie e più disparate ordinanze comunali che sono state pubblicate in merito a tutto quello che riguarda il sisma, la ricostruzione, le agevolazioni economiche, gli ostacoli burocratici, gli abbattimenti e/o risistemazione, con gli adeguamenti sismici di edifici ed abitazioni, la riperimetrazione della zona rossa (che cambia in continuazione) e chi più ne ha, più ne metta, sia perché l’argomento è ostico ed insidioso, sia perché io non sono in grado di spiegarlo, essendo assolutamente priva di linguaggio tecnico- giuridico adeguato.
Anzi, per la precisione, essendo assolutamente priva di linguaggio tecnico-giuridico.

Ma questa nuova ordinanza sul C.A.S. ha del prodigioso…
Cos’è un C.A.S.?
Eh già perdonatemi, ormai qui parliamo una lingua fatta di sigle ed acronimi, incomprensibile per il resto del mondo, ma che spesso noi aquilani diamo per scontata…
C.A.S. sta per Contributo Autonoma Sistemazione.
Vado a prodigarmi nelle spiegazioni.
Tutti coloro i quali, fatta salva per culo la propria vita nella notte del 6 aprile 2009 (che sempre sia maledetto), hanno, tuttavia, perduto la propria abitazione principale e non vi possono far ritorno per anni (ed anni ed anni… ), hanno potuto scegliere, per rientrare in città dalla costa o per uscire dalle tende, tra tre alternative:
1) Appartamento in uno dei quartieri del Progetto C.A.S.E.
2) Appartamento in affitto con contratto stipulato con la Protezione Civile che provvede al pagamento, fino a 600 euro al mese (e vi ho detto che gli sciacalli non sono solo quelli che ridevano la notte del sisma, ma anche alcuni cari concittadini che hanno affittato a prezzi triplicati tutto l’affittabile, prendendo 600 euro da contratto ed il resto sottobanco? Sì, mi sa che ve l’ho detto..).
3) Contributo di Autonoma Sistemazione o C.A.S.
Il C.A.S. consiste nell’erogazione di 200 euro al mese per ogni membro di nuclei familiari che hanno deciso di cercare una sistemazione per conto proprio, senza rientrare nelle due precedenti possibilità di scelta.
In questa opzione, erano compresi anche coloro che possedevano una seconda casa, sia all’interno che all’esterno del territorio comunale.


Bene. Encomiabile.
Però.
Ma.
Dopo vari censimenti, con moduli, modulini e moduletti, per capire DOVE e COME i 75.000 sfollati si erano riparati, dopo altri per capire chi sceglieva C.A.S.E., chi affitti, chi C.A.S., ti spunta la nuova ordinanza.
Sì, perché ci si è accorti che questi contributi sono un sacco di soldi…
E, francamente, dopo aver speso, in modo becero, il denaro dei contribuenti facendo costruzioni anti-sismiche a prezzi da capogiro, non consentendo, a chi ha case poco danneggiate, di iniziare i lavori di riparazione e, di conseguenza, continuare a svernare in alberghi, anche lontani, a spese dello Stato, puntellando palazzi da abbattere (con il doppio costo del puntellamento e dell’abbattimento), dire che il C.A.S. è uno spreco, fa ridere i polli.
Ma tant’è.

Questi soldi del C.A.S. sono troppi.
Quindi il C.A.S. non può essere dato a tutti.
Occorre selezionare a chi dare il C.A.S.
A chi diamo sto C.A.S.?
Lo decide l’ordinanza.

Quest’ultima ha così deciso: non hanno diritto al C.A.S. tutti i nuclei familiari che attualmente usufruiscono di una propria seconda abitazione, poiché, in effetti, non stanno sostenendo spese di affitto. Pertanto sarebbero soldi in più che entrerebbero nelle loro tasche a svantaggio di altri.
Va bene, posso anche essere d’accordo.
Vediamo, però, a chi va dato sto C.A.S.
Esso va erogato a tutti coloro che hanno trovato una sistemazione autonomamente e che non possiedono seconde abitazioni agibili o, se le possiedono, non sono DISPONIBILI.

Attenzione che il prodigio sta proprio in quest’ultima parola.
Che significa?
Che se io ho una casetta al paesello, che so, quella dei nonni, o al mare, e ci sto abitando da dopo il sisma, siccome è mia ed è agibile, ed io ci sono andato, senza pesare sull’economia dello Stato, ora non ricevo più neanche i 200 euro mensili per ogni membro del nucleo familiare, MA, se sono un costruttore, un imprenditore, un ricco ereditiero con appartamenti o, addirittura, intere palazzine agibili, però affittate ad altri, riscuoto i soldi degli inquilini E prendo il C.A.S.

Siamo all’assurdo, al paradosso!
Ma chi ha concepito questa ordinanza?

Già me lo vedo, seduto, in penombra, dietro la scrivania, sulla poltrona di pelle nera, in doppiopetto grigio, che accarezza il gatto bianco adagiato mollemente sul bracciolo………..

mercoledì 26 maggio 2010

Il Calesse - Frasi Celebri

“Tesoro, ma io non so se vincerò il concorso. Il fatto che domani vada a parlare con il dirigente, prima degli esami orali, non significa niente. Lui ha chiesto di me tramite mia sorella e mio cognato (che lavorano nello stesso ente n.d.a.) soltanto perché è rimasto colpito da come ho fatto bene gli scritti e mi voleva conoscere.”
(Sì, certo. Lo penso anche io. E adesso scusami, ma devo attraversare il bosco per portare alla nonna il cestino con la crostata)

“Perché sei convinta che, nel caso in cui dovessi vincere il concorso, ma figurati se lo vinco, la sede dove mi manderanno sarà proprio R.? Non è sicuro. Solo perché ci vivono già due mie sorelle, mica è detto che ci vada anche io. Poi la città la sceglieremo insieme in un secondo momento. Oppure sarà R., ma per i primi tempi e poi chiederò un trasferimento. Lo sai che questa città non è mai piaciuta molto neanche a me. Sì, bella da visitare, ma per viverci, non sia mai!”
(Guarda, non la chiamerei convinzione. Direi piuttosto intuizione. Rivelatasi azzeccatissima, tra l’altro. Una domandina.. Dov’è che vivi ora? Dov’è che i tuoi hanno scelto che tu andassi? Ops, scusa, volevo dire dov’è che hai spontaneamente scelto di andare? R.? Oddio, sono stupefatta! Non me l’aspettavo proprio!)

“Sai, io con te sono tanto felice, sto benissimo, mi completi. Però il fatto che tu abbia avuto altre storie prima di me, mi dispiace molto. Tu hai pietre di paragone, puoi fare confronti. Io no”
(Posso fare comparazioni tra stronzi. Vuoi sapere chi è il più lungo? La risposta non ti piacerà… E poi scusa, pensi forse di essere fidanzato con Selene? Quante storie credi che abbia avuto?)

“Tu sei la mia anima gemella. Ne sono certo. Ci metterei la mano sul fuoco. Sei la donna che vorrei come madre dei miei figli, perché sarebbero dei bambini belli ed intelligenti come te. Vorrei solo un po’ di tempo per riflettere bene sulla cosa”
(E va bene, in quanti siete lì dentro? Questo non è un caso di sdoppiamento di personalità. In te alberga un intero condominio di gente!)

“In questo periodo non sei più tu. Prima eri sempre allegra, solare, positiva, piena di gioia. Mi sei sempre stata vicino nei miei momenti di difficoltà, tirandomi su di morale. Adesso, invece, sei spenta e un po’ malinconica. Non capisco.”
(Hai ragione. Scusa. Vedi, il fatto è che mi è scaduto il contratto di animatore turistico. A breve dovrebbero farmi quello di buffone di corte. Se hai pazienza, tornerà tutto come prima.)

“ Lasciamoci, così io posso valutare bene i miei sentimenti. Però, guarda, siccome sono sicuro di voler stare con te e dividere con te la mia vita, non diciamo a nessuno che non stiamo più insieme. Nel senso che, se qualcuno ti chiede qualcosa, rispondi tranquillamente che stiamo ancora insieme. Facciamo che stiamo insieme in parola. Il tempo di capire quanto ti amo davvero e torniamo insieme di fatto”
(Facciamo che io ero la scema del villaggio? Dico, ma per chi mi hai preso?)

“Tu sei troppo. Troppo colta, troppo preparata, troppo piena di interessi. A volte, quando siamo usciti con gli amici e tu parlavi e conversavi con tutti, io non sapevo mai cosa dire e stavo zitto. Mi sentivo inferiore. Invece lei (la femmina stronza e bastarda) mi chiede sempre tutto. Gli ho insegnato ad usare il computer. Pensa che non sapeva nemmeno usare la posta elettronica e gliel’ho spiegato. Ha imparato in un mese! Ora devi vedere come spedisce le mail!”
(A parte che non ho nessunissima voglia di vedere questa tizia che manda letterine in formato elettronico, ma noto con piacere di essere stata sostituita da un autorevole membro del Mensa!)

“Non so come ci si lascia. Questo me lo devi insegnare tu, visto che sei stata fidanzata altre volte. Mentre io….”
(A bello, sta solfa che io ho avuto altre storie inizia francamente a diventare di una pesantezza quasi insostenibile… E poi, almeno una cosa, la vuoi fare tu? E che cazzo!)

“Tu sei forte, sei una roccia, sei indipendente. So che uscirai da questo momento difficile perché sei piena di risorse ed hai un carattere tosto. Lei, invece, è così debole e fragile, mi fa sentire indispensabile..”
(Dio, come sei banale…. Questa è una frase abusata… Comunque ci credo che ti fa sentire indispensabile. Da come l’hai descritta, sembra una che non riesce a trovarsi il sedere con l’aiuto di entrambe le mani!)

“Resterai sempre, sempre sempre nei miei pensieri. Sei stata il mio amore grande, ho condiviso moltissime cose con te, ho affrontato molte “prime volte”, mi hai fatto scoprire un mondo bellissimo, il tuo, mi hai dato tanto, tantissimo. Non potrei mai dimenticarti. Ricordati che se avrai bisogno di me, puoi chiamarmi in qualunque momento. Sarai nel mio cuore tutta la vita”
(Tu no. E vai anche a cagare. Hai ragione, ti ho dato tanto, troppo. Che spreco.. E poi, ho avuto bisogno di te quando stavamo insieme e non c’eri, figuriamoci se ci sarai adesso. Ma per piacere… )

“Lei non è la causa della fine della nostra storia. E’ una conseguenza. Cioè, tra noi non stava andando molto bene. Tra lei ed il ragazzo nemmeno. Noi ci siamo trovati lì, al corso insieme, tutto il giorno, tutti i giorni.. E ci siamo confidati a vicenda. Poi, da cosa nasce cosa… Ma non prendertela con lei…”
(No, infatti con lei non me la prendo. Sto incazzata con te, se non l’avessi capito. Ma non l’hai capito. Lei è solo una poveretta. Voi vi siete ritrovati. Se mi dai il numero del suo ex, ci ritroviamo anche noi. Per festeggiare lo scampato pericolo..)

“Sì, mi sono sposato. Il mese scorso. Non è che volevo tenerti nascosto il fatto, ma è stato un periodo molto intenso al lavoro. Poi quando ci siamo sentiti, per telefono, abbiamo parlato d’altro e… Ma guarda, tra l’altro, non l’ho detto praticamente a nessuno. Figurati, mi è proprio passato di mente… “
(Ah, questa è fenomenale. Veramente non l’avevo mai sentita. Avevi paura di dirmelo perché pensavi che mi sparassi un colpo? Uh, guarda, stai tranquillo. D’altra parte vedo che il tuo matrimonio è stato un giorno importante, per te. Tanto che ti sei dimenticato di dirlo agli amici. Che simpatico umorista che sei! Camperei cent’anni solo per divertirmi con le stronzate che dici… Sei un comico inconsapevole!)

… Altro che gli aforismi di Oscar Wilde, Arthur Schopehnauer, Ennio Flaiano e Lucio Anneo Seneca!

martedì 25 maggio 2010

Il Calesse - Epilogo

Ho parlato di telefonate quotidiane con il Calesse in fase di addestramento e formazione.
Mi rendo anche conto di aver detto poco di me e del mio carattere. Spesso, agli occhi altrui, sono la roccia, quella a cui ci si può appoggiare, che sa ascoltare, sa consigliare, sempre solare, positiva, sorridente e bla bla bla…
Ed infatti a me si è spesso appoggiato il Calesse. Però, mentre lui viveva questo momento di gloria, contemporaneamente, io mi ritrovavo in un periodo difficile, per il lavoro, per motivi legati alla salute dei miei, per la specializzazione SSIS e tutte le palle e contro palle ad essa legate.
Pensavo di poter essere io, questa volta, a poter fare affidamento su di lui, per lo meno come supporto morale, visto che era fisicamente lontano.
Santa ingenuità!

Esempio di telefonata.
Io: “Ciao Calesse, sai sono un po’ giù di corda… Mio padre non sta granché bene. Poi al lavoro abbiamo fatto una riunione e pare che la mia figura, nella sede qui in città, non serva e probabilmente, per la fine del mese, mi daranno la lettera di licenziamento.. Tu come stai?
Calesse: “Ah, benissimo grazie! Qui è fantastico! Il corso è molto interessante… Questi nuovi colleghi sono simpaticissimi! Ieri siamo andati a fare un giro nei locali del centro e stasera abbiamo organizzato la grigliata sulla spiaggia!”
Femmina stronza e bastarda in sottofondo: “Calesse, hai fatto? Stiamo aspettando te! Ma con chi parli tutte le sere?? Con donne??? Dai che si fa tardi!”
Io: “Scusa, ma questa chi è e che vuole?”
Calesse: “Ma niente, è una cretina…”

Dirò, poi, che, man mano che il corso procedeva, il Calesse manifestava una certa propensione al trasformismo. Voleva fare lo specchio. Ha iniziato a dirmi che doveva riflettere.
Riflettere tanto.
Riflettere molto.
Riflettere su di noi.
Riflettere sulla natura del nostro rapporto.
Riflettere sul fatto che lui, al contrario di me, non aveva precedenti storie e quindi non poteva fare paragoni con altre situazioni e capire se con me si trovava meglio che con altre, che, certo, io ero la sua anima gemella, pensava, ma, sai, insomma, doveva pur verificare… E quindi facciamo che non stiamo insieme, però stiamo insieme, che poi neanche serve che si sappia che ci siamo lasciati, d’altronde non è che ci siamo proprio lasciati… E’ che, sai, devo solo riflettere..

La domanda mi sorse spontanea, dopo un periodo di suoi farfugliamenti di questo genere, che io avevo ascoltato, silenziosa e sconcertata, un sabato pomeriggio: “Senti, dimmi la verità. Ti stai innamorando di un’altra persona? La stai frequentando? Veramente, dimmelo. Me ne farei una ragione. Soffrirei, certo, ma vorrei che fossi sincero con me. Me lo devi.”
“IIIIIIIOOOOOOOOOO??????? MA ASSOLUTAMENTE NO! COME TI VIENE IN MENTE?? COME PUOI ANCHE SOLO PENSARE UNA COSA DEL GENERE?”
“Sicuro?”
“Sì sì davvero. Te l’ho detto, devo solo riflettere.. Sai, voglio proprio essere sicuro di noi, dei nostri sentimenti”
Va detto che anche io iniziavo a dubitare dei miei. Perché qui l’ho fatta breve, ma il Calesse-specchio ha portato avanti questa teoria per mesi.
Giobbe, in confronto a me, era uno impaziente.

Poi, finalmente, la rivelazione.
Spontanea? Manco per niente.
Su mia sollecitazione e dopo alcuni, flebili dinieghi, finalmente: “Eh, sì. Mi sto frequentando con un’altra persona….”
Non mi ha tradito, perché eravamo in una delle fasi “ci siamo lasciati ma ci sentiamo lo stesso perché ci vogliamo tanto bene e non possiamo gettare nel water questa nostra lunga e bella storia d’ammmoorre”.
Però sapere che la tipa in questione era quella che lui, più volte, aveva definito “la cretina”, mi spiazzò.
A ripensarci, tuttavia, neanche più di tanto.
Le premesse c’erano.
E poi, chi disprezza compra…

Ho lottato, eh!, per non lasciarglielo.
Con il senno di poi, più per un senso di possesso che per vero amore.
Ma di fronte ad alcune sue (del Calesse) esternazioni, affermazioni, giustificazioni, elucubrazioni mentali, mi sono detta: “Per l’amor di Dio, se lo tenesse!”
I primi tempi da single, ho pregato che si lasciassero e che lui tornasse strisciando, di modo che io potessi pulire,sulla di lui schiena, le mie scarpe.
Poi, invece, dopo aver potuto, seppur in lontananza, constatare quanto lei sia acida, arpia e prepotente, gli auguro una lunga, lunghissima vita insieme.
Visto che si sono anche sposati.

Voilà!
Bella storia, vero?
Ribadisco che anche io ho le mie colpe. E me le prendo.
Sia chiaro, non contesto il fatto che un amore finisce. Capita. Spesso.
Contesto i modi con cui lo si fa finire.
Contesto le bugie, la disonestà, l’ipocrisia.
Contesto il suo portarmi allo sfinimento.
Contesto il suo tenermi legata a sé, invece di lasciarmi libera da subito.
Contesto la sua ennesima mancanza di attributi nel non riuscire a dirmi: “Non ti amo più”.
Contesto le ridicole frasi che le mie orecchie hanno dovuto ascoltare.

Ridicole frasi di cui, presto, avrete un saggio, perché sono veramente esilaranti.

venerdì 21 maggio 2010

Il Calesse - seguito

Colta da insonnia, lontana dall’ufficio, torno a parlare della mia fortissima miopia, visuale e mentale.
Quella che mi portò a scambiare il famoso Calesse per ben altro.
Ho parlato di un concorso che lui ha vinto. Non era chiaramente di bellezza.
Ho anche detto che non ho avuto nulla da ridire, e ci mancherebbe altro, sulla sua partecipazione.
Ciò che mi irritò, grandemente, fu un certo tramare tra il Calesse ed il di lui parentame…

Perché presto mi fu chiaro che tutto era stato ordito e deciso.
Non mi dilungherò sui particolari: Dirò solo che, dopo varie traversie, colloqui, telefonate, e-mail, incontri vis-a-vis con chi di dovere, il concorso si vinse. La sede si scelse. Nella città dove io non vorrei mai vivere e di cui, per amor di quiete, dirò solo l’iniziale: R. dove, casualmente, vivevano già diversi e stretti familiari.
Io ero stagliata sullo sfondo, relegata, soprattutto dai parenti, al ruolo di colei-che-dever-per-amor-seguire-l’uomo-che-vinse-posto-pubblico-a-tempo-indeterminato.
Ma i parenti, si sa, rompono le inferiori sfere, nonché i delicati equilibri di una coppia.

Ciò che fece a pezzi il mio fegato fu, piuttosto, l’atteggiamento del Calesse.
Quello di una persona prona ai voleri altrui, poco disposta al dialogo, relativamente all’argomento, perennemente trincerata, di fronte ad alcune mie legittime richieste (tipo: scusa, ma la sede che HAI scelto comporta il trasferimento nella stessa; ma non s’era detto che eventuali decisioni del genere le si prendeva insieme? E poi codesto agglomerato urbano, mi par di ricordare che non fosse neanche di tuo gradimento… fino a poco fa…), dietro ad un sorriso serafico e a quattro, immutabili parole: “Tranquilla, andrà tutto bene”.
Infatti s’è visto.

Devo ammettere che io ho il mio bel caratterino; che, forse, un’altra leggiadra fanciulla sarebbe stata più accomodante.
Io, di fronte a quest’ebete pupazzo, a questo disco rotto, sono diventata una iena.
Gradualmente, però.
Dapprima, infatti, ho provato a parlare con calma e delicatezza, come ad un bimbo scemo, dicendogli, tipo cantilena: “Mio dolce miele d’acacia, mia zuccherosissima caramella, visto che si è anche parlato di matrimonio, non sarebbe il caso, orsetto gommoso del mio cuore, decidere insieme dove si vivrà? No, perché, sai, mi dovrei organizzare…”
La risposta era, costantemente, quella summenzionata.

Quando una storia va a rotoli, la colpa non è mai di uno solo, ma di tutti e due.
Ed infatti, mi prendo, in toto, le mie responsabilità
Perché, dopo un po’, iniziai a diventare velenosa come un serpente e ad ogni suo “Tranquilla andrà tutto bene”, rispondevo con sempre maggior astio ed acidità, raggiungendo, a volte, picchi notevoli di sarcasmo.
Cosa che, lo ammetto, non contribuì a distendere il clima tra di noi.

In effetti, quando il Calesse partì per i sei mesi di corso comune a tutti i profili richiesti dal concorso, noi eravamo ancora una coppia, in crisi, certo, ma decisa a provare ad andare avanti, ancora convinta di esser legata dall’amore, seppur un tantino sfilacciato.

Il corso, però, era frequentato da 80 persone che si sono trovate a seguire lezioni, studiare, mangiare, bere, dormire insieme per 5 giorni a settimana.
In questo contesto fece la sua apparizione un inquietante personaggio, del quale io sentivo solo la voce stridula durante le telefonate quotidiane al Calesse corsista, ma che scoprii presto essere femmina stronza e bastarda.
… Ed il resto al prossimo post, giurandovi che sarà l’ultimo sull’argomento.. Forse…

giovedì 20 maggio 2010

Il Calesse

Siccome mi sta urticando il fatto che, mentre io perdo gradi di vista a sistemare e pulire il programma che utilizziamo in ufficio, scorrendo nomi, nomignoli, date di nascita, omonimie e quant’altro (mi pare di aver accennato al fatto che il mio momentaneo lavoro precario sia pallosissimo…), il mio collega, quello simpatico come la varicella ad agosto, sta, contemporaneamente, giocando a “Solitario” sul pc, leggendo il giornale, telefonando a chicchessia con un tono di voce da doppiatore cinematografico (ma non con la stessa intensità e piacevolezza all’udito), sbuffando (quando perde al giochetto), tossicchiando (quando legge le notizie), ho deciso che, per un po’, prendo per il sedere il Brunetta anche io e mi metto a scrivere questo post.
Tra l’altro, desidero accontentare uno dei miei “quattro lettori”, di manzoniana memoria e parlare del Calesse scambiato per Amore a cui ho accennato la volta scorsa. Spero di non annoiare gli altri tre..

Il Calesse mi si presentò sotto forma di un ragazzo dall’aspetto piacevole. Grandi occhi verdi spalancati sul mondo, sorriso dolce e simpatico al tempo stesso, pizzetto da moschettiere, capelli… No, quelli non ce li aveva. Fascino alla Claudio Bisio, per intenderci.
Diciamo che fu facile, così travestito, scambiarlo per Amore.
Voglio dire, ad un Calesse proprio non assomigliava.
Dirò di più. Sono certa che, per diversi anni, fu anche amore.

Il Calesse era di una timidezza imbarazzante, tanto da mettere a dura prova la mia pazienza di monaco zen e da dilatare in tempi che definire biblici è eufemistico, il corteggiamento.
Ma finalmente, dopo nove mesi, si decise a dichiararsi. Un parto con travaglio.
La mia specchiata onestà mi porta ad ammettere che è stata una gran bella storia, per oltre otto, lunghi, divertenti, goduti anni.
Con un unico neo, da parte sua: quello che io avevo avuto altri ragazzi, mentre, per lui, ero la prima fidanzata, a causa, così disse, della sua grande timidezza. Non feci fatica a credergli.

Comunque, siamo stati davvero bene insieme. Giusta dose di serietà e di allegria, gelosia in misura equa, vacanza insieme, condivisione di interessi, tante risate, buon sesso, complicità, amicizia.
Tutti a dire: “Ma che bella coppia che siete”.
Mi sa che ce l’hanno tirata.
Col senno di poi, meglio così.
Perché, ad un certo punto, qualcosa si è incrinato.
Qualcosa che ho iniziato a percepire quasi dai suoi esordi.
E che mi ha infastidito, perché andava ad offendere la mia intelligenza, la quale, senza falsa modestia e senza timore di essere smentita, si è rivelata superiore alla sua.

Il Calesse, insomma, ha iniziato a mostrare un b-side che mi ha dato molto, molto da pensare.
Tutto è partito da un concorso pubblico, su territorio nazionale, al quale ha partecipato e (meritatamente??) vinto.
Non contesto il concorso in sé, non contesto la di lui partecipazione, non contesto la conseguente scelta della sede (in una città che, sapeva benissimo, io detesto e nella quale non mi sarei voluta trasferire ma, per amore, non certo per un calesse, se ne poteva discutere..), contesto i modi e le maniere con cui lui ha portato avanti le sue scelte.
Ed ho usato l’aggettivo possessivo alla terza persona singolare e non alla prima plurale non a caso.

…. Ma poiché ho una coscienza e sono ancora in ufficio, mi metto a lavorare ed il seguito lo lascio al prossimo post, per la pubblicazione del quale non mi prenderò, giuro, tempi da processo d’appello..

domenica 16 maggio 2010

Coniglia docente (??!!)

Ah, questa poi…!
Mi è successa ieri, ma è proprio da raccontare…
Premetto che non sono vecchia, ma una giovane che ha fatto tante cose, però..
Dunque, mi arriva il CUD della scuola superiore dove ho insegnato lo scorso anno.
Già, perché nelle mia relativamente breve vita, mi è anche capitato di insegnare (esperienza che, grazie alla neo-mamma di Emma, la ormai tristemente nota MariaStellina bellina, dubito che potrà ripetersi..)
Mi arriva fortunosamente, perché, è da tempo risaputo, non abito più nella mia casa aggrappata al terreno per miracolo, ma nella sfavillante C.A.S.A. dell’arcinoto progetto-miracolo post sismico.
Mi arriva grazie alla buona volontà del postino.
Oh che bello!
E’ questo il vero miracolo, altroché!
Il problema è che devo restituire la ricevuta, con tanto di data e firma.
Alla segreteria della scuola.

Dove cazzo è, ora??
La scuola, intendo. Nella sua totalità…
No perché PRIMA era in centro, DOPO all’interno di un’altra scuola, poi però ha ricevuto un M.U.S.P. e dunque…
Sì lo so che potevo pure interessarmi un attimo di più, ma sono stata impegnata a cercare uffici, aziende, negozi che hanno dovuto forzatamente cambiare posto e la cui nuova ubicazione doveva essere da me conosciuta in via prioritaria per pressanti necessità.

Va bene. Niente panico.
Chiamo il numero di telefono che trovo sul foglio di ricevuta con l’intestazione della scuola (e l’indirizzo vecchio, ovvio, perché, poveri cristi, non hanno potuto cambiare le carte intestate, visto che neanche sapevano dove gli avrebbero piazzato il M.U.S.P.)
Mi si risponde che posso inviarlo via fax.
Oh, vorrei tanto poterlo fare!
Ma il mio fax penzola senza vita sulla scrivania dello studio della casa aggrappata eccetera eccetera…
Fax pubblico? Devo trovarlo.. Tanto vale venire a trovare voi di persona…
Ok vengo.

Sabato mattina, però, perché è l’unico giorno in cui non lavoro.

Mi alzo tardi ed abbastanza di malumore…. Mi vesto al volo e vado dove mi hanno indicato.

Eccolo il M.U.S.P.!
Oh, va, che ritrovo un altro luogo del passato ed un altro pezzo di città che ha cambiato volto!
Entro baldanzosa chiedendo dov’è la segreteria ed il bidello mi fa:
“Senti, guarda, la segreteria studenti il sabato chiude alle 11.00, poi se ti servono i documenti che attestano il titolo di studio conseguito, devi fare richiesta lunedì e poi passare a ritirarli dopo due giorni.”

Ora, immagino che le Converse azzurre, semi-slacciate ai piedi, i pantaloni della tuta lenti e larghi, la felpa con il cappuccio sulla testa (perché pioveva ed io non posseggo ombrelli), il viso senza ombra di trucco, non abbiano giovato alla mia immagine di docente di Materie letterarie negli Istituti di Istruzione secondaria di II grado, ma da questo a scambiarmi per una studentessa dello scorso anno, ce ne passa!!

“Ehm, no guardi, cercavo la Segreteria docenti”
“Ah, devi portare qualche documento di tua madre? Insegna qui?”
Ma questo una forchettata di zzi suoi, no??
“No, l’insegnante sono io…”
“Tu???????? MA NON è POSSIBILE!!!”
Eh, certo! Con la Riforma Gelmini non è possibile no!

Ditemi voi che credibilità posso avere io come docente..
Maledetto il giorno che ho smesso di fare teatro per star dietro ad un Calesse che sembrava Amore… E che ho anche trascinato per nove anni…
Ma questa è un’altra storia…

giovedì 13 maggio 2010

Il regalo

Non posso regalarti che parole.
Inanellarle l’una a l’altra a formare un canto.
Il mio canto per te.
Non so fare altro, sai.
In questo niente, c’è soltanto la mia storia.
Che racconto a me stessa per non dimenticarla.
E le mie parole per te.
Che sei tanto.
Sei fiato e respiro.
Lanterna nel buio.
Piccolo miracolo,
Matteo.
Sei il filo che mi lega al mondo
e mi impedisce di volare via per sempre.
Sei lo sguardo limpido che va oltre la distruzione
e mi fa vedere solo il bello, anche qui.
Sei la mano delicata che mi accarezza il viso
e asciuga il mio pianto silenzioso.
Sei la voce celeste che mi calma
e sa donarmi una bianca pace.
Sei l’abbraccio puro che mi nasconde
e mi protegge da me e dalla mia paura.
Paura che non mi abbandona mai.
Tranne quando arrivi tu.
Sei tutto questo,
Matteo.
E non lo sai.
Fai magie.
E non te ne accorgi.
Vorrei saperti donare di più,
in cambio di tutto questo.
Ma non so far altro
che regalarti parole.

domenica 9 maggio 2010

L'aliena

Quello che mi sconcerta, è che mi sembra un tifo da stadio…
Già.
Due curve di ultras..
Ma come si può ridurre una situazione complessa, difficile, ingarbugliata, tragica, sfaccettata come quella che stiamo vivendo a due fazioni contrapposte?
Una pro, nonostante tutto.
Una contro, tutto.

Due manifestazioni. Anche questa domenica.
Due palle, aggiungo io.
Una nel centro storico, per liberarlo dalle macerie, per riunirsi, per ritrovarsi.
Questo è il “popolo delle carriole”. Definitosi indipendente, definito da altri “comunista”
Un’altra alla Villa Comunale, per dire grazie a Bertolaso e agli Italiani.
Questi sono gli “Aquilani forti e gentili”. Gruppo creato su Facebook, assolutamente pro governo.

Io faccio parte del popolo che s’è stancato.
E’ da oltre un anno, dal terremoto, che, invece di essere uniti per la nostra città (che, per inciso, è ancora desolatamente vuota nel cento storico e piena nei quartieri del progetto C.A.S.E. e nei centri commerciali spuntati come funghi), ci dividiamo.
Prima in “lupi nelle tende e conigli sulla costa”, poi in “inquilini fortunati del progetto C.A.S.E. e sfigati in autonoma sistemazione”, ora “Popolo delle carriole e Aquilani forti e gentili”.

Ah, dimenticavo… Dal 7 maggio ci sono i pro Guzzanti ed i pro Bondi.

E non si dialoga, ve’!
No no!
Le fazioni rimangono cristallizzate nelle loro rigide posizioni e si va avanti a suon di slogan.
Roba da farsi cadere mascelle e braccia.

Io sono veramente annichilita.
Perché, coniglia indipendente, pensante, osservatrice e curiosa, mi sono fatta un’idea tutta mia della questione e non ho intenzione di essere catalogata in nessuno di questi gruppi.
Mi piacerebbe esprimere un parere senza finire, di conseguenza, in una delle fazioni.
Mi piacerebbe poter dire semplicemente che sono Aquilana.

Eppure, a volte, se mi chiedono da dove vengo, ho la tentazione di dire: “Da un altro pianeta…”

giovedì 6 maggio 2010

Draquila

Ieri nel tendone permanente di Piazza Duomo si era in più di mille.
Tanta, tantissima gente che, nonostante la pioggia, cercava di entrare per poter vedere, anche in piedi, “Draquila – L’Italia che trema”, il film-documentario di Sabina Guzzanti che verrà presentato anche a Cannes.
Dirò che ci ero andata con un po’ di dubbi.
Premetto che a me la Guzzanti, così come il fratello e la sorellina, piace molto e che la seguo dai tempi di “Tunnel”, “Avanzi”, “L’ottavo nano”, “La posta del cuore”, quando ancora, in tv, si potevano vedere, con una certa frequenza, intelligenti spettacoli di satira.
Lo scetticismo derivava dal fatto che, ultimamente, la Sabina mi era diventata (non a torto, per carità) davvero acida e, francamente, a volte, anche troppo pesante.
Come, ad esempio, nello spettacolo “Vilipendio Tour” che avevo visto a Chieti.

E invece….
Stipata come una sardina, in piedi, non essendo riuscita ad accaparrarmi una sedia, ho assistito ad un film davvero bello.
Davvero ben fatto.
Davvero interessante.

Un film che mi ha commosso, mi ha riempito di sdegno e rabbia, mi ha evocato ricordi tristi, mi ha riportato a momenti di panico e paura, mi ha aperto un mondo e mi ha permesso di fare collegamenti e ragionamenti e dare un senso diverso ed ulteriore a tanti episodi e comportamenti che non avevo colto e che mi ha anche, nonostante tutto, divertito.

Un film che racconta un punto di vista ben documentato sulla nostra tragedia e sulla nostra città, che diventa specchio e metafora dell’Italia intera.

Un film che mette in luce la nostra “aquilanità”, nelle sue mille sfaccettature ed anche nei suoi molti radicati difetti; che da la parola sia a chi protesta che a chi loda l’operato del governo.

Un film...

Non dico altro.
Ma se passa nei cinema delle vostre città, vi consiglio di andare a dargli un’occhiata.
La merita.

mercoledì 5 maggio 2010

Coniglio e Tv

“Allora, coniglio, senti qua: ci hanno chiamato per andare ospiti a Pomeriggio Cinque, per parlare della situazione di L’Aquila, di quella che c’è tutt’oggi e dei progetti che possiamo portare avanti noi aquilani. Mi hanno chiesto di portare un’altra persona. Ho pensato a te. Si va?”

Oddio, ad essere proprio sinceri sinceri sinceri fino in fondo, a me non è che quella trasmissione mi faccia impazzire. Proprio no. Caso mai mi fa effetto lassativo. Quello sì.
Però è in diretta… Vedi mai che tra una faccetta contrita ed una addolorata della D’Urso ci riesco a piazzare qualche bella frase che descriva realmente come va qui.
Che fa? Mica la può tagliare?
MMMmmmm
Ok, si va.

L’Aquila-Roma, Roma Milano.
Alle due e mezzo siamo nei camerini della trarmissao mravigliao.
A provare la meravigliosa sensazione di possessori di cervello nel totale vuoto di materia grigia che ci circonda.
Mai riunito, in un unico ambiente, tanto nulla, tutto insieme, dotato di gambe, braccia, tacchi, faccia, abiti, gioielli.
Mai….

… Ho visto cose che voi umani neanche potete immaginare..
Carmen Di Pietro e Alba Parietti SENZA TRUCCO…
Mandrie di trans che pascolavano nei corridoi e nei camerini,
Pupa chilometrica con Secchione incorporato trattati come divi di statura mondiale.
Autori ventenni che mescolavano gli argomenti in scaletta come uno squallido cocktail.
Il mio viso truccato, lucidato imbellettato (we, sembravo quasi bella!)
Gli assistenti di studio impazziti che spostavano ospiti come pedine di dama.
Un tizio che di lavoro fa l’intrattenitore e l’imbonitore del pubblico presente.
Me stessa microfonata e messa sulla sedia bianca al centro dello studio.
Poi no, non basta il tempo per tutti e quindi smicrofonata, spostata in prima fila,
pronta a fare un piccolo intervento da lì.
No, un’altra volta, i minuti sono quello che sono e quindi non ho la parola.

… Ho visto la D’Urso far parlare di L’Aquila e dei bambini deceduti e sopravvissuti per 15 minuti,
poi di corsa tagliare tutto ed in pubblicità farci uscire così velocemente dallo studio che non abbiamo neanche capito dov’eravamo.
Altri assistenti pilotarci verso i camerini per farci cambiare e farci sparire da lì perché non potevamo restarci.
Autista assoldato per accompagnarci in aeroporto volare sulla tratta Cologno-Linate.
Noi incazzate perché in trasmissione non eravamo riuscite a far passare nulla di quello che avremmo voluto.
Noi tristi perché la nostra L’Aquila non fa audience mentre trans e Pupa e Secchione sì.
Noi addormentate sull’aereo, stanche, sfibrate, deluse.

Ed infine ho visto me che, davanti lo specchio di C.A.S.A., mi toglievo quel trucco televisivo, tornando coniglio fiero, dignitoso e più bello che mai, dicevo alla mia immagine riflessa: “Mai più!”